Capitolo 18

446 37 39
                                    

Svegliarsi e sapere che sei tra le braccia di chi ami è una sensazione bellissima.

Apro gli occhi e la prima cosa che vede è il suo orrendo colore giallognolo di capelli, poi fortunatamente mi soffermo sul suo viso, ed ha un'espressione rilassata, angelica, con il naso a patata e le labbra rosee e carnose , di cui traccio una linea con il dito.

Le sue mani, sono rannicchiate sotto il mento, è un bimbo cresciuto, ma pur sempre un bambino, molti non hanno mai avuto la possibilità di vedere Calum Hood vulnerabile, senza la sua solita aria da pop star viziata, mi sento fortunata.

Gli accarezzo i capelli cortissimi, e lo guardo, potrei guardarlo per ore, ma un forte senso di nausea mi sale dallo stomaco e di corsa mi dirigo in bagno.

Ho vomitato pure l'anima, ma è la giusta punizione da pagare, dato che ieri ero ubbriaca, dopo che mi ero ripromessa di non farlo, l'avevo promesso anche a mia madre.

Ecco a cosa penso non appena mi sciacquo il viso e torno nella ex camera di Ally, devo parlarle, ma prima mi accorgo che la star della situazione si è svegliata, ed è confusa quasi quanto me.

-Come stai?- mi chiede alzandosi e venendomi incontro

-meglio, ho appena finito di vomitare- annuncio godendomi le sue braccai che contornano i miei fianchi

-lo so, ti ho sentita, e volvo venire- ridacchia sui miei capelli -ma io quando vomito dopo una sbronza non voglio a nessuno, così ho pensato di non invadere ulteriormente la tua privacy- chiudo gli occhi e allaccio le braccia al suo busto coperto da una leggera canotta bianca

-grazie, quasi non ci credo ancora che hai preso un'aereo solo per venire qua da me-gli lascio piccoli baci sulla canotta

-al momento sei la cosa più importante della mia vita, davvero, era il minimo che potessi fare- mi bacia la testa -ora va a parlare con tua madre, è giusto così. Io resto qua, magari mi faccio una doccia nel frattempo- mi stacco da quella quantità assurda di calore umano e affetto e annuisco andando verso le scale.

Come previsto la trovo seduta al tavolo della cucina, con il caffe fumante in una ma no e il cellulare nell'altra

-mamma- sussurro abbastanza forte da farmi sentire

-dobbiamo parlare- dice poggiando entrambi gli oggetti sul tavolo adornato da una tovaglia bordeaux, il suo tono è duro com'è giusto che sia, ma vedo la disperazione nei suoi occhi

-si- mi siedo

-sai che spavento mi è preso, sai che avevi promesso. Avevi promesso su tua sorella, sulla tua sorellina, a me. Io ho preso una decisione, ritorni in clinica e ti fai le due settimane di recupero veloce, poi saranno loro a dirmi se puoi uscire. Stai certa che questa volta non verrai graziata- il mio cuore batte all'impazzata, non voglio tornare in clinica, ma, me la sono cercata questa volta -potevi andare in coma etilico, mi dici cosa ti è passato per quella testolina?- ha le mani chiuse in pugni stretti sul tavolo, non l'ho mai vista così arrabbiata con me

-hai già chiamato la clinica?- chiedo a testa bassa

-si, appena Calum se ne va, tu entri in clinica. Dimmi grazie che non ti ci sto spedendo oggi stesso.- si alza prende il cellulare e come tutte le mattine esce di casa per andare a lavoro.

Sono consapevole della pessima azione che io ho commesso, ma due settimane in clinica io non me le merito, stare la dentro è un'inferno fatto di sedute di gruppo e visite di psicologi.

Salgo le scale , devo dirglielo, so che si sentirà immensamente colpevole, cosa che infondo è anche vera, ma non voglio che stia male per me.

Lo trovo intanto ad ispezionare la camera, si guarda intorno incuriosito

-bella la mia umile stanza vero? Ci sei più tu che io in questa- indico tutte le mensole e i muri pieni di cd e poster

- si, mi piace, ma solo perché c'è della storia tra queste mura, è una stanza vissuta- un sorriso genuino fa capolino sulle sue labbra e io come di riflesso sorrido

-devo parlarti- gli dico sedendomi sul letto , lui annuisce e si mette accanto a me -mia madre mi sta facendo ricoverare in clinica, due settimane di terapia d'urto-sospiro e la sua mano si poggia sulla mia coscia , mi viene nuovamente da piangere ma non lo farò

-starai meglio, effettivamente forse è la cosa migliore, spero tu possa stare finalmente bene una volta uscita- mi sorride debolmente -io ho ricevuto una chiamata e domani mattina devo ripartire, non abbiamo molto tempo, non sprechiamolo- la sua mano fa su e giù lungo la mia coscia e io sono totalmente abbandonata al suo tocco

-facciamo l'amore? - gli domando istintivamente, i suoi occhi si illuminano e il suo viso e già molto vicino al mio, un bacio casto , abbiamo iniziato così, poi è andato avanti , ci siamo svestiti, come la prima volta, ma senza quel minimo di preoccupazione che c'era allora, poi ci siamo accarezzati e baciati, fino al momento in cui non ero completamente sua, io e lui in un'universo parallelo. Nel nostro mondo fatto d'amore, colpi di fulmine e relazioni impossibili a istanza, eppure noi siamo così contorti e innamorati.

-Fammi visitare la tua città- mi dice in un sussurro mentre i nostri corpi nudi sono ancora abbracciati

-non ho mica tutto programmato come te- scuoto la testa

-infatti, voglio vedere i posti importanti per te, mica per me-sorride beffardo e mi baci, nuovamente, come se non l'avesse fatto fino a due minuti fa

-troppi baci- fingo il broncio

-sono stato il tuo primo bacio, e voglio essere l'ultimo- forse non si rende conto di ciò che ha detto, quindi non ci faccio caso più di tanto

- bene, vestiti. Si va allo Golden Gate- mi alzo sorridente

-il ponte rosso?- la sua faccia sembra sconvolta - è scontato- alzo gli occhi al cielo

-resta qua ci vado da sola- mi infilo un pantaloncino nero e una canotta del medesimo colore, prendo il cellulare e le chiavi dell'auto e di casa e scendo le scale.

Entro in macchina e metto su un disco dei Green Day, tanto so che a momenti salirà in auto, e come previsto, neanche finisce la prima canzone il mio Cal apre la portiera del guidatore

-non vorrai guidare tu vero?- mi chiede, io spalanco gli occhi

-città mia, regole mie. Poi ti ho già concesso del sesso spettacolare, entra in auto e fammi guidare-lo beffeggio, lui alza le mani in segno di resa e sale in auto

-vai mia principessa, sono con te- mi dice guardandomi come lo aveva fatto dopo il nostro primo bacio, con una luce radiante negli occhi, una luce di felicità.

Twelve Hours||Calum HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora