Capitolo undici.

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Giorno 6 (venerdì nero), ore 08:00.

Harry.

Il pranzo del Ringraziamento di ieri è stato un disastro, non che mi aspettassi altro. Papà ha invitato alcuni colleghi di lavoro, e mentre parlavano di Wall Street e dello stato dell'economia all'altro capo del tavolo, noi eravamo praticamente in silenzio. Louis era seduto di fronte a me, zitto di proposito mentre mangiava un piatto pieno di cibo del catering. Adele non cucina e di certo non si sarebbe data per il Ringraziamento. Non so se ho mai mangiato un tacchino cucinato in casa dall'ultima volta che ho passato le vacanze con i miei nonni a New York, anni fa.
L'atmosfera di ostilità che aleggia in casa è al limite. Adele ha cercato in tutti i modi di parlarmi ma io mi sono rifiutato. Il taxi è arrivato per portare via Louis come pianificato, ma io l'ho mandato via, infilandogli in mano due pezzi da venti come ricompensa per i problemi causati. Louis non mi ha rivolto la parola neppure una volta. Appena è riuscito a defilarsi è scomparso, tornando nella casa degli ospiti senza augurare la buonanotte a nessuno chiudendosi a chiave in camera. Non è più uscito per il resto della notte. Quindi ho fatto la stessa cosa, arrabbiato con me stesso per avergli permesso di attirarmi tanto. Non ho dormito molto, e già non avevo quasi chiuso occhio la notte prima, e ora sono agguato fuori dalla porta di Louis, tentato di buttarla giù a calci e obbligarlo a parlarmi. Non sono più me stesso; io non sono il tipo che cerca conforto. Odio affrontare i miei sentimenti, ma dannazione, la litigata di ieri mi ha punto sul vivo. Mi sento una femminuccia, perché mi ero illuso che quello che avevamo stesse diventando qualcosa di speciale. Deduco che mi sbagliavo.

Eppure è questo il caso in cui la mia testardaggine si manifesta, per la prima volta nella mia vita personale. Non voglio sbagliarmi e non credo sia così. Per qualche ragione, Louis sta scappando perché è spaventato. Non lo biasimo: io faccio la stessa cosa un giorno sì e l'altro no. Le uniche volte che sento di avere il completo controllo della mia vita sono quando mi trovo sul campo da calcio. E ora che sono intrappolato qui da giorni non vedo l'ora di tornarci, di distrarmi da queste stronzate e tuffarmi nel gioco, di tornare a essere un robot insensibile e dimenticare tutto.

Furioso con me stesso, busso e giro la maniglia, sorpreso di trovare la porta aperta. Non mi preoccupo di lasciargli il tempo di rispondere: entro a grandi passi nella camera buia fermandomi ai piedi del letto per trovarlo addormentato, un bozzolo al centro delle lenzuola. I capelli sono sparsi sul cuscino, il viso dolce nel sonno. Le labbra, boccioli di rosa socchiusi, le coperte sono abbassate all'altezza del bacino, e addosso ha una maglietta azzurra aderente, i capezzoli chiaramente visibile sotto il tessuto sottile. I suoi capezzoli duri mi catturano, mi fanno quasi salivare. Nella stanza fa freddissimo e mi avvicino a lui, afferrando il piumino per coprirlo. Con le nocche gli sfioro il petto –lo faccio di proposito– e lui spalanca gli occhi di colpo. Si mette a sedere così in fretta che per un pelo non mi dà un colpo alla mascella con la fronte e faccio un salto indietro, risparmiandomi la botta.
"Cosa fai?" Si porta le coperte al mento, nascondendo tutta quella morbida pelle esposta e deludendo la mia immaginazione. "Ti aggiri di nascosto nella mia stanza?"
"Volevo assicurarmi che stessi bene." Risposta poco convincente, ma non mi viene in mente altro.
"Che ore sono?" si allunga verso il comodino e prende il cellulare, controllando l'ora con uno sbuffo esagerato. "Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va a quest'ora del mattino?"
"Ti sei chiuso dentro dodici ore fa, per quanto ne sapevo potevi anche aver perso i sensi" sento di dovermi difendere, e non mi spiego come sia possibile che abbiamo fatto tanti passi indietro e ora siamo ostili l'uno con l'altro. Rivoglio il nuovo Louis, rivoglio noi insieme.

Non c'è mai stato un «noi».

Serro le labbra e mi siedo sul bordo del letto, e lui si scansa da me come se avesse bisogno del suo spazio. Ho un'idea che mi frulla nella testa dalle tre di stamattina e spero che sistemi qualunque danno sia accaduto nella nostra relazione incerta. Se non dovesse essere d'accordo, non so cos'altro fare.
"Beh, sto bene" rimbecca mentre appoggia il cellulare al suo posto, lo sguardo fisso sulle sue ginocchia. "Ora puoi uscire."
"Speravo ti andasse di venire con me in un posto."
Scuote la testa in un gesto di ostentata indifferenza. "Non so se è una buona idea, Harry. Dobbiamo far finta di essere una coppia e va bene, ma la settimana è quasi finita e non credo sia più necessario continuare lo show." Cos'ho fatto? Non ne ho idea, e lui non me lo dirà a meno che non gli tiri fuori le parole con le pinze.
"Vorrei mi accompagnassi al cimitero. Devo andare a trovare mia sorella." Finalmente mi guarda con quegli occhi azzurri pieni di dolore e comprensione, tutti per me. "Non credo sia il caso.."
"Ti voglio con me" gli prendo la mano e la cullo nella mia. Ha le dita fredde come il ghiaccio e cerca di divincolarsi, ma io stringo la presa. "Ti voglio lì, Louis."
"Credevo che Adele avesse dei piani esclusivamente per la famiglia" alza il mento con aria sconfitta, vulnerabile, bellissimo. Così meraviglioso che vorrei stringerlo tra le braccia e non lasciarlo andare, eppure mi trattengo.
"Non vado con loro" sarebbe il mio incubo che diventa realtà. Adele che si trasforma in un relitto piangente, aspettandosi che io le stia vicino, pieno di comprensione, a dispensarle abbracci. Riesco a malapena a sopportare il pensiero che mi sfiori per sbaglio, figuriamoci volontariamente.

Non dirmi un'altra bugia] Larry Stylinson.Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt