Capitolo I

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Quando avevo cinque anni, una volta, le gemelline Royalts mi chiamarono nella loro camera. Mi sentivo onorata, non ero mai entrata in quella stanza perché non mi era concesso. Ma la osservavo dal corridoio, mentre aiutavo la mia mamma a lavare il pavimento; spiavo attraverso le fessure o il buco della serratura, mi incuriosiva, mi affascinava. C'erano giocattoli di ogni tipo, tutti i bambini, a vedere quello spettacolo, sarebbero rimasti a bocca aperta dallo stupore. Ed io ero una bambina.

Non avevo mai messo piede lì dentro, la mamma me l'aveva da sempre proibito, ma non nascondo che la tentazione di entrare nella camera delle meraviglie di nascosto fosse tanta.
Chiunque non avrebbe saputo resistere, ma con il tempo, lì in casa Royalts, io avevo sviluppato una forte resistenza alle tentazioni, nonostante fossi solo una bambina.

«Eloise», quella era la voce di Anne, acuta e squillante.  

«Vieni nella nostra stanza», parlò poi Catherine, l'altra gemella.  

«Devi fare una cosa per noi!», continuò la prima.

Salii tutta contenta la lunga scalinata del palazzo in marmo bianco, svoltai a destra imboccando il corridoio illuminato da ampi lampadari d'oro e bussai alla stanza delle bambine. Ero felice come quando il signorino Luke, a sei anni, aveva scartato il suo regalo di Natale: una macchina telecomandata che sembrava essere reale per l'impeccabile raffigurazione dei dettagli.

«Entra», mi ordinarono in coro e feci come richiesto.

All'interno era ancora più bella di come l'avevo intravista da fuori ed immaginata nelle mie fantasie e la prima cosa che mi saltò agli occhi fu l'enorme castello delle principesse, nel quale con il mio fisico minuto sarei entrata anch'io. Rimasi per qualche secondo, o forse minuto, ammaliata da tanta bellezza, con lo sguardo sognante e la bocca spalancata.

«Beh, che c'è? Ti piacciono?», domandò una delle sorelle, non ricordo quale. Era anche difficile riconoscerle, se non fosse stato per le loro voci diverse e per il segno particolare che le distingueva. Anne aveva un neo sul labbro, mentre il neo di Catherine si trovava sulla guancia destra. Per il resto, erano praticamente identiche e per giunta amavano più o meno le stesse cose, quindi vestivano spesso in modo uguale.

«Io... sì, credo di sì» balbettai, con l'ingenuità di una bambina. Io ero una bambina, sottratta dal mio ruolo, ma pur sempre una bambina. E non potevo sapere di essere finita proprio in una trappola, ero troppo meravigliata e sorpresa per pensare che si trattasse di un inganno, ma avrei dovuto immaginarlo.

«Quale ti piace di più?», Anne si avvicinò talmente tanto che riuscii a sentire il suo forte profumo e mi scrutò con i suoi occhioni verdi, uguali a quelli di suo padre. Un grande fiocco rosso le decorava i capelli e indossava un vestitino a pois che la rendeva buffa, ma elegante e ordinata. Già a quell'età, infatti, aveva mostrato di nutrire un profondo amore per la moda.

«Il... castello», riuscii a dire. Ogni tanto mi piaceva fantasticare sulla mia vita e immaginavo di essere una principessa che viveva in un grande castello tutto suo; non andavo pazza per le favole, ma mi piaceva sognare per riuscire a staccarmi dalla realtà. L'immaginazione mi consentiva di volare lontano e di esplorare posti che forse non avrei mai conosciuto in vita mia. Poi però mi svegliavo e tornavo al mondo nel quale, purtroppo, ero costretta a vivere.

«Oh, il castello. Hai sentito, Cath, le piace il mio amato castello», probabilmente fu solo una mia impressione, ma calcò molto su "mio", per rivendicare la sua possessione. Le gemelle sapevano essere molto gelose quando si parlava delle loro cose, soprattutto dei loro giocattoli.

«Il nostro, vorrai dire» sbottò l'altra, alzandosi dalla sedia rosa alta come un trono e avvicinandosi anche lei a me. «E ti piacerebbe giocarci?» mi domandò, non appena fummo vicine.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora