Capitolo VI

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Nonostante avessi già intuito i suoi voleri, rimasi paralizzata quando gli sentii pronunciare quella frase. Ero incapace di parlare. Feci un passo indietro e con voce malferma e sconvolta bisbigliai: «Cosa?»

Lui si avvicinò ancora, fermandosi ad un passo da me. «Avanti, dovresti esserne onorata.»

Potevo sentire il suo fiato caldo sulla pelle arrossata del mio viso. Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo ed incontrare i suoi occhi, ma mi sembrava che mi stessero perforando, uccidendo lentamente, con dolore e sofferenza.

«E se io mi opponessi?» non so con quale forza cercai di ribellarmi. Non volevo, io non volevo che lui mi vedesse nuda. L'idea di sentirmi umiliata, di essere vulnerabile e debole ai suoi occhi, esposta, completamente al suo servizio, mi stava facendo perdere la ragione.

«Sai meglio di me che non puoi» mi sputò in faccia la semplice verità. Eppure non avevo ancora la forza di dargliela vinta, di rinunciare alla mia battaglia.
Potevo perdere senza prima aver giocato?

«E se io provassi a fuggire?» gli affronti che stavo ponendo proprio a lui, mio padrone e di sangue nobile, non sarebbero di certo passati inosservati ed io, questo, lo sapevo fin troppo bene.

«Non faresti nemmeno un passo. Io ti riporterei qui con estrema facilità» non sapevo nemmeno io perché avessi parlato, contro i vampiri non potevo niente. «E poi sì, che sarebbero guai.»

«Vi prego», passai alle implorazioni e lui aprì la bocca in un sorriso pieno di perfidia. «Vi prego, qualunque cosa, ma non privatemi dei miei abiti.»

Mi fissò cupo. «Non mi sembra che tu sia molto coperta, già così», mi diedi una veloce occhiata e mi resi conto che effettivamente il vestito che i padroni mi obbligavano ad indossare, non fasciava interamente il mio corpo. Anzi, tutt'altro. «Potrei punirti severamente solo per il tuo avermi affrontata così sfacciatamente. Ma sarò clemente, se tu farai la brava.»

A quel punto, potevo tentare un'ultima mossa, quella che molte schiavette amavano mettere in pratica: la seduzione. Ma io non ne ero capace. Non conoscevo l'arte del sesso, non sapevo cosa significava essere sensuali e sedurre un uomo. Non avrei buttato di mia spontanea volontà la dignità che cercavo sempre di proteggere.

«Non certo per mio volere» ribattei aspramente, alludendo ai miei abiti.

«Adesso mi hai stancata, piccola schiava!» ringhiò facendosi sempre più vicino e sovrastandomi con il suo peso. «Tu, qui, non sei nessuno. Non hai alcun potere, non sei degna di decidere niente. Ed eseguirai i miei ordini», mi sforzai di sostenere il suo sguardo, stranamente il signorino non mi faceva paura, non come le gemelle almeno.
Ma le sue parole. Pur essendo ormai consapevole di quale fosse la mia posizione, sentirmi urlare contro quelle parole continuava ancora a ferirmi. «Con le buone» sorrise a labbra chiuse. «O con le cattive» a quel punto le sue labbra si aprirono mostrando i denti ed i lunghi canini affilati.

Ma io non avevo paura nemmeno in quel momento. «Perché volete che io funga da vostra dama ispiratrice?»

«Oh, non essere sciocca. Nessuna dama, è solo una punizione» si voltò, dandomi le spalle e dirigendosi verso la sua scrivania in mogano, per prendere fogli e matite. «Ti ho già spiegato che di solito i miei soggetti sono donne di alta classe e non... stupide schiavette» pronunciò con disinteresse, strafottenza, riluttanza.

Odiavo la sua presunzione e cominciavo ad odiare anche lui. E se prima lo ammiravo per la sua bellezza, adesso anche quella mi faceva schifo.

«Avanti, spogliati da sola, se non vuoi che lo faccia io.»

Non mi sarei mai lasciata mettere le mani addosso da lui, da quel mostro e non avevo altra scelta. Non c'era scappatoia, non c'era modo di sottrarmi ai suoi ordini.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora