Capitolo IX

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Mi fissò a lungo e quei pozzi lucenti erano come delle lame affilate, pronte a lacerarmi e a trapassare il mio corpo da un lato all'altro. Cercavo di indietreggiare, di trovare un appiglio, ma non c'era nulla che potesse essermi d'aiuto. Era come camminare su un filo sottilissimo sospesa fra due montagne ed essere già sicura di dover cadere all'indietro. 

«Cosa gli hai detto?» ringhiò, avvicinandosi sempre di più al mio letto.
Ad ogni suo passo, il cuore sembrava volermi esplodere nel petto. Temevo fortemente la sua reazione, non volevo finire nuovamente con i suoi canini infilati nel collo.

«Nulla. Ve lo giuro, non gli ho detto nulla» mormorai, sincera. In fondo, non avevo fatto la spia. Non avevo rivelato a Logan le angherie che ero costretta a subire in quella casa, quando avrei potuto dirgli davvero di tutto.

«Logan è un pacifista ed io non ti credo! Cosa gli hai detto?» tornò a chiedere, con tono sempre più arrogante e arrabbiato.

I suoi occhi subito divennero fuoco, dipingendosi di rosso. Erano terrificanti, come mai li avevo visti prima.

«Ve lo giuro, signorino Luke. Ve lo giuro» lo implorai, quasi inginocchiandomi ai suoi piedi e a quel punto le lacrime minacciavano davvero di scendere.
Le trattenni con tutte le mie forze.
Se c'era una cosa che non avevo intenzione di perdere in quella casa, era la dignità. L'avrei difesa a qualunque costo.

«Non dovrà uscire una parola dalla tua bocca. Tu non parlerai di ciò che accade in questa casa, ci siamo capiti?»

«Certo», affermai, con la voce che mi tremava «Non mi permetterei mai.»

I suoi occhi tornarono normali. Trasse un enorme sospiro e subito capii che anche lui aveva abusato con l'alcool.

Mi rivolse un altro sguardo tagliente, tanto da farmi chinare il capo.
Facevo di tutto per evitare di sottomettermi a lui, eppure continuamente rivendicava la sua funzione di capo.

«Cosa c'è lì sotto?» domandò, indicando il ritratto che mi aveva regalato. Così lo estrassi dal cuscino e glielo mostrai; senza alcun timore. Era stato lui a darmelo, non avevo commesso alcun furto.

«Perché lo tieni lì?»

Arrossii all'istante, in evidente imbarazzo. Cos'avrei potuto dirgli, in quel momento? «Io... credo... perché mi piaccia» non volevo ammetterlo, ma era quella la verità. Quel ritratto aveva fatto breccia nel mio cuore. Per la prima volta, non mi vergognavo del mio corpo, della mia nudità alla mercé dei suoi occhi.

Lui lo guardò, rimanendo in silenzio per qualche minuto.

Poi me lo sfilò dalle mani e cominciò a strapparlo, riducendolo in mille pezzi che caddero furtivi sul pavimento.

«In questo modo non potrai più guardarlo», sentenziò «Non lo meriti.»

«Cos'ho fatto? Cos'ho fatto?» domandai ben due volte e mi trattenni dall'urlargli contro.

Si avvicinò a me e mi strinse i polsi, facendomi male. Mi portò le braccia sulla testa, per impedirmi di parlare.
«Devi imparare a stare al tuo posto» soffiò velenoso, ad un palmo dal mio naso. «C'è molto da pulire, di sopra. Ti aspetta una lunga nottata» concluse, prima di andare via in quella maniera così elegante, com'era solito.

Rimasi ferma per un tempo indeterminato, ad osservare i pezzetti di quel ritratto che io avevo associato alla poca umanità rimasta nell'animo spento di un vampiro.

Ancora una volta trattenni le lacrime e non dovetti nemmeno opporre troppa resistenza. Mi imposi sin da subito che non avrei pianto e rispettai l'ordine che avevo impartito a me stessa. Luke e il suo disegno non meritavano tutto ciò, eppure io sentivo di aver bisogno di quel pezzo di carta.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora