Capitolo XVIII

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La camera del signorino la vedevo sempre di sera. Strano, già, ma era proprio così, avvolta nella sua penombra quasi tenebrosa. Anche quella volta, mi portò lì di notte e non ebbi nemmeno il coraggio di chiedergli perché mi trovassi nel suo spazio oscuro.

«Avevo detto che te l'avrei fatta pagare», mi aveva anticipato e poi io non gli avevo chiesto nulla. Chiuse la porta alle nostre spalle e si accomodò sul suo letto, accendendosi una sigaretta.

Io rimasi in piedi, ferma, a contemplare la sua esagerata bellezza.

«Perché siamo qui?» mi decisi a chiedere, mentre dalla sua bocca uscivano solo nuvolette di fumo.

«Chiamala punizione o come ti pare» sbuffò, soffiando il suo ciuffo biondo dalla testa. Incrociai le mani dietro la schiena, ormai non sapevo più cosa aspettarmi.

Lui buttò la cicca in un posacenere, che non avevo notato prima, poi scomparve. Non si trovava più di fronte a me.

Sentii un soffio sul collo che mi fece sobbalzare e capii dov'era finito.

Le sue mani mi circondarono i fianchi e si unirono sulla mia pancia, poi cominciò a lasciarmi una scia di baci sul collo. Rimasi paralizzata, sorpresa ed estasiata dalla sensazione di benessere che mi stava facendo provare.

«Credo tu abbia bisogno di rilassarti e di stare bene, so io cosa ci vuole» sussurrò con voce calda e suadente ed io non riuscii a controbattere.

Mi scostò i capelli, mi accarezzò la testa e mi massaggiò le spalle. Volevo guardarlo, ammirare i suoi occhi e soprattutto toccarlo.
Se stava davvero accadendo ciò che immaginavo, volevo che avvenisse nella maniera migliore. Tutto doveva essere perfetto ed io volevo che facessimo l'amore con lo sguardo.

Così mi voltai e passai una mano sul suo viso, così bello, tanto da sembrare, a primo impatto, quasi angelico. Feci scivolare un dito sulle sue labbra e lui lo baciò, con dolcezza, come non aveva mai fatto. Gli scompigliai i capelli e mi lasciò fare, non credevo che lui mi avrebbe mai lasciato così libero arbitrio sul suo corpo.

Mi strinse a sé con fare possessivo e non nascondo che la sua violenza mi eccitava, tanto.

«Cosa vuoi, Eloise?» domandò Luke al mio orecchio, mordicchiandomi il lobo. Voleva sentirselo dire ed io non risposi, tra di noi era sempre stato tutto basato su un gioco di sguardi e di incomprensioni. «Non fare la cattiva bambina, su.»

«E voi, cosa volete?» chiesi a mia volta.

«Vuoi che te lo dica?»

«Sì» ammisi.

«Voglio te» mi vibrò tutto il corpo, l'intera spina dorsale e finanche le punte dei capelli. Non mi ero sbagliata. «E tu mi vuoi?» quando le sue labbra toccarono finalmente le mie, non riuscii più a resistere e mi lasciai sfuggire un «Sì», che quasi sembrava una supplica.

Sorrise soddisfatto. Mi baciò sulle labbra, intensamente, come non aveva mai fatto e le sue mani volteggiarono sulla mia schiena procurandomi dei brividi. Credevo fosse il momento e lo desideravo, con tutta me stessa. Mi vergognavo dei miei desideri, ma era ciò che volevo, quindi perché negare? «E allora non mi avrai» concluse, staccandosi da me di botto.

Si allontanò e tornò sul suo letto, stendendosi e incrociando le gambe all'aria. La luna illuminava il suo profilo e aveva sul viso un'espressione soddisfatta.

Ci rimasi male. Molto male. Mi aspettavo di più. E se lo voleva anche lui, perché continuava a respingermi?

Ma certo, era quella la mia punizione. Farmi assaporare l'ebrezza del desiderio fin dentro le ossa e negarmelo proprio quando credevo di averlo ottenuto. Una sensazione dolce amare di conquista e perdita istantanea.

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora