2. Raymond Carver e i racconti

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È da un po' che non scrivo sul mio blog, la verità è che negli ultimi mesi sono stato impegnato a completare il mio primo romanzo. Di sicuro non ho mai smesso di leggere. Mi sono lanciato in giungle narrative che da tempo volevo esplorare, incappando in mostri nuovi e sacri.

Uno di questi è Raymond Carver.

Carver, nella sua fugace carriera letteraria, ha scritto solo poesie e racconti. Mai nessun romanzo, neanche uno breve.

La prima cosa che ho letto di lui è stata Nessuno diceva niente. Un racconto, per l'appunto, tratto dalla raccolta Da dove sto chiamando. Ho capito subito di aver appena varcato un confine, che dopo Carver molte cose sarebbero cambiate.

Se a un certo punto un alieno piombasse sulla terra e puntandomi la sua pistola laser alla tempia mi chiedesse di riassumere l'opera di Carver in una sola sentenza, gli direi questo: gli direi che Raymond Carver ha scritto di cose semplici. Attenzione a quel di, fondamentale! Carver non ha scritto cose semplici, ha scritto di cose semplici. La differenza è profonda un abisso.

Carver stesso diceva:

In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose, oggetti comuni, usando un linguaggio comune ma preciso, e dotare questi oggetti – una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocuo e far sì che provochi al lettore un brivido lungo la schiena.

E coi dialoghi, Carver, ci sapeva davvero fare.

Ho trascritto tutti i suoi passi più significativi. Allo stato attuale, giuro, ho appunti strapieni di squarci di prosa carveriana. Mi ha dato una grande mano nella stesura dei miei, di dialoghi. Ne avevo un gran bisogno.

Facciamo così, facciamo un esempio.

Immaginate quattro personaggi seduti attorno a un tavolo mal illuminato, una piccola cucina. Stanno bevendo gin scadente e, prima di uscire per cena, giocano un po' a raccontarsela. Immaginatevi Mel. Mel è un chirurgo, ha bevuto un po' troppo ma è ancora lucido. Sta raccontando ai suoi amici, tra cui il narratore, la vicenda di due vecchietti sopravvissuti a un grave incidente automobilistico, scampati alla morte grazie anche al suo intervento. Con lui c'è Terri, la sua seconda moglie, e Laura, la compagna del narratore. Adesso state bene a sentire:

«Ma che fine hanno fatto i vecchietti?», ha chiesto Laura. «Hai cominciato la storia e non l'hai ancora finita».
«Già, che fine hanno fatto i vecchietti?», ho ripetuto io.
«Più vecchi, ma anche più saggi», ha detto Terri.
Mel l'ha fissata.
«Continua a raccontare, tesoro», ha detto lei. «Era solo una battuta. Insomma, che cosa è successo?».
«Certe volte, Terri...», ha detto Mel.
«E dài, Mel», ha detto Terri. «Non essere sempre così serio, tesoro. Non sai stare a uno scherzo?».
«Quale scherzo?», ha risposto Mel.
Ha stretto il bicchiere, senza levarle gli occhi di dosso.
«Che cosa è successo, dopo, Mel?», ha detto Laura.

Il brano è tratto dal racconto Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. Se il titolo vi suona famigliare è perché potreste averlo sentito nel film Birdman, di Alejandro González Iñárritu (2014). Michael Keaton, il protagonista, tenta proprio di inscenare quel racconto nel suo teatro.

Ma lo sentite anche voi quanto potere si può infondere in una manciata di parole? La forza del detto e del non detto, il soffiare su disagi segreti ed enormi, perturbandone lievemente la superficie. Grosse complicazioni che se ne tornano presto a dormire, che lasciano un'ombra grande, una minaccia perenne e costante.

Dovreste leggerlo, questo racconto. Davvero.

Carver è scomparso alla fine degli anni Ottanta, appena cinquantenne. Una perdita immane.

Per chi volesse iniziare a fare due chiacchiere con lui, consiglio di partire dalla fine, e cioè dalla sua più recente raccolta di racconti: Da dove sto chiamando, dentro ce li trovate quasi tutti.




Lezioni di Scrittura Creativa - [2/8]Where stories live. Discover now