11. La creazione della trama (parte III): intervista ai personaggi

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Eccoci di nuovo qui, due paroline a mente fredda su ciò che ci siamo detti la volta scorsa.
Prima di tutto, ci tengo a ribadire che il Fiocco di neve non è il solo metodo esistente, ma uno dei tanti.
Nel cinema, per esempio, si utilizza spesso Il viaggio dell'eroe, anche questo basato sui 3 atti, e c'è un metodo che si chiama addirittura Salva il gatto (Save the cat).
A fine capitolo trovate i link, così potete approfondire.
L'elenco in ogni caso potrebbe andare avanti all'infinito e il Fiocco di neve, così come gli altri metodi, è estremamente malleabile: potrebbe cioè essere smontato, rimontato, invertito, mutilato, ampliato.
Non c'è alcun limite, c'è soltanto la necessità.
Qui noi lo utilizziamo alla maniera classica, lineare. Vogliamo prendere confidenza con uno strumento, nulla in futuro ci vieterà di stravolgerlo e magari scrivere un racconto come Memento (C. Nolan), in cui la storia parte dalla fine e arriva all'inizio.


CIO' CHE I PERSONAGGI NON DICONO

Arrivo subito al dunque, anche se la tentazione di tirare in ballo studi sociali, filosofici e antropologici è grande.
Scherzavo: non ne ho la minima intenzione.
Più o meno, il succo è questo: tolte le fumose implicazioni genetiche, i nostri comportamenti non sono altro che il risultato della cultura, educazione, situazione storica e geografica in cui siamo cresciuti.
E la cosa vale anche per i personaggi delle nostre storie.
Il consiglio è: se volete sapere come farli agire, prima cercate di capire chi sono.
Quando parla, tace, tergiversa o prende una decisione, un personaggio ha sempre un obiettivo, che nel 99% dei casi conosce soltanto lui. A volte, fa cose che sembrano addirittura ribadire l'opposto, delle sue reali intenzioni.
E questo succede a tutti, se ci pensate.
Un neonato ha mal di pancia. Ma non può parlare, quindi piange.
Vuoi saltare il compito in classe? Fingi di avere la febbre.
Dici al tuo amico che il suo vestito è originale, ridicolo infatti suonerebbe offensivo.
Mio nonno hanno dovuto abbatterlo: aveva guidato per chilometri e chilometri, era quasi finito al mare. Il suo gesto voleva dire: sono autosufficiente, ma lo volete capire?
Quando un cane fiuta un pericolo, abbassa la coda.
E così via.
A proposito, nessuno ha mai abbattuto mio nonno.
La prossima volta che dite o fate qualcosa, quindi, provate a pensare a quanto di voi state lasciando intendere: siete sempre così espliciti?
Questa mancanza di trasparenza è il pane degli attori. In gergo tecnico si dice sottotesto, ed è la prima cosa che imparano ad allenare.
E poi, voglio dire, dev'essere per forza così: quanto ridicola sarebbe una scena in cui il cattivo di turno si alza, punta il dito contro lo schermo e fa: «New York, preparati», risata malefica, dito mignolo in bocca, «sono molto arrabbiato: il mio gatto è morto, adesso vado di là e ti faccio saltare per aria».
Un cattivo così può andare bene solo per Austin Powers, che è appunto un film comico.
In un film drammatico, se un personaggio è arrabbiato, lo capiamo dalla sua espressione. Se dobbiamo sapere che sta per far esplodere Manhattan, basterà che la sua mano si avvicini a un grosso tasto rosso con sopra un teschio. Se è triste per il suo gatto, sosta in silenzio davanti a una vecchia foto in cui lo teneva in braccio.
Sottotesto, ovvero ciò che sta sotto la superficie delle parole e dei gesti.
E superficie è un termine magico perché noi, così come i nostri personaggi, siamo degli iceberg, mostriamo cioè soltanto quella piccola parte che galleggia sul pelo dell'acqua.

E superficie è un termine magico perché noi, così come i nostri personaggi, siamo degli iceberg, mostriamo cioè soltanto quella piccola parte che galleggia sul pelo dell'acqua

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Lezioni di Scrittura Creativa - [2/8]Kde žijí příběhy. Začni objevovat