Capitolo 15 - Divisione

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I fiocchi di neve e l'aria gelata direttamente negli occhi mi rendevano difficile tenere le palpebre dischiuse, ma continuai a saltare da un edificio all'altro come un gatto. Affidai il mio corpo all'istinto e feci rielaborare alla mia mente le zone della città già esplorate. Qualcosa volle che si trovassero tutte dalla parte opposta a quella in cui stavo andando io; in pratica quella in cui c'erano i "famosi" marines incazzati da cui io e Satch stavamo giusto fuggendo.

Come si chiamava?

Ah già.

"Sfiga".

Quindi mi toccava proseguire alla cieca.

Frenai all'improvviso ritrovandomi di fronte un alto muro di pietra. Guardai sia a destra sia a sinistra e mi resi conto che non sembrava segnare il confine della città, quanto piuttosto tagliarne fuori una parte. << Aki, dividiamoci >> sentii, ma quando mi girai Satch era già sceso in strada a confondersi con la neve. << Ci ritroviamo con gli altri direttamente alla Moby, vedi di non rinchiuderti in un'altra biblioteca! >> urlò con un sorriso beffardo prima di riprendere la corsa.

Avrei voluto avere pronta una risposta pungente per ribattere, invece mi limitai a un semplice "Ci proverò".

Feci leva sulle gambe e con un salto atterrai sulla cima del muro. Avevo visto giusto: dall'altro lato viveva indisturbata una buona metà dell'isola. Rimasi un secondo a contemplare il panorama di tetti spioventi e fili elettrici mal attorcigliati sui pali della luce, poi sfrecciai sulla spessa muraglia a tutta velocità nella direzione opposta a quella di Satch. Ebbi diversi secondi per notare le differenze tra una parte e l'altra: mentre quella che avevo già visitato dava una sensazione di pace e risplendeva nella chiarezza della neve appena caduta, l'altra sembrava caotica e cupa, la neve come il manto che copre un cadavere. Decisi che andare in quella parte fosse la scelta migliore: avrei potuto confondermi tra la gente e seminare i marines senza troppi intoppi. I miei piedi si mossero in automatico, librandosi da un tetto all'altro finché non fui abbastanza lontana dai soldati da poter tornare in strada.

Zigzagai tra la gente tenendo un profilo basso, le dita occupate nel modificare lo stile della sciarpa. Notai che ai lati delle strade c'erano molte donne, anche piuttosto giovani, strette in abiti succinti e calze, spesso fiancheggiate da poveretti vestiti di soli stracci che chiedevano la carità o se ne stavano immobili, con occhi spiritati che sembravano non aver mai visto altro che disperazione. Mi venne la pelle d'oca al solo guardarli da lontano.

Mi fermai in una via meno affollata a riflettere sulle mie prossime mosse. Per tornare alla Moby Dick avrei dovuto, per forza di cose, oltrepassare nuovamente quel misterioso muro, ma farlo subito avrebbe significato ritrovarsi faccia a faccia con i militari, ed essere arrivata fin lì sarebbe stata praticamente una perdita di tempo. Non che mi dispiacesse giocare a "guardia e ladri" con loro, però nella versione che conoscevo io le guardie non cercavano di ucciderti. Senza contare che la curiosità verso l'isola si era scavata un bell'angolo-relax nel mio stomaco, e non sarei riuscita a cacciarla finché non avessi scoperto per quale diavolo di motivo esisteva quella parete.

Il mio cervello stava già elaborando le prime bozze d'ipotesi quando un uomo si avvicinò. << Ciao, bella bambolina >> biascicò appoggiando il braccio al muro, cercando di fare un'espressione ammiccante. Inutile dire che fece la figura del poveraccio sbronzo qual era. << Ti va di spassarcela un po'? >>

Mi aveva già dato almeno tre motivi per spaccagli il muso: primo, aveva interrotto il mio affluire d'idee; secondo, ci stava provando (ma altre prede no? Quella piatta ti vai a pigliare?); terzo e più importante, mi aveva chiamata "bambolina". – No, Coso. No. Se Ace non la chiama "Aki", tu sicuramente non la chiami a quel modo –.

Tiger's Blade [INCOMPLETA/NON CONCLUSA]Where stories live. Discover now