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Quando si svegliò, un anziano signore era nella sua stessa stanza d'ospedale che controllava la sua cartella clinica e altre scartoffie.
Subito l'ansia l'avvolse. Cercò di riassumere:
Come mi chiamo? ...
Dove vivo? ...
Il nome dei miei genitori? ... Dei cani? Ho cani?
Subito sentì le lacrime pizzicargli agli angoli degli occhi, ma poi, quello che presunse fosse un medico, si girò verso di lei con aria compassionevole e le rivolse un sorriso.
— Finalmente ti sei svegliata, Heather. Io sono il dott. Irwin. —
— Cosa mi è successo? — domandò in preda alla disperazione.
— Hai avuto un incidente d'auto. — rispose guardando la sua espressione cambiare e cercando di dedurne qualcosa. Non ricordi nulla dell'accaduto? —
Adesso aveva tirato fuori dal taschino dell'uniforme una penna e aveva fatto scattare fuori la punta con l'inchiostro. Aggrottò le sopracciglia e si avvicinò al letto.
Lei scosse la testa.
— Non ricordi neppure chi ci fosse con te? —
Scosse ancora la testa.
Lui annotò qualcosa sui fogli.
— Ricordi come ti chiami? —
Fece per scuotere la testa, ma poi esitò e ricordò: "Finalmente ti sei svegliata, Heather."
— Heather, — annuì. Il dott. Irwin sembrò illuminarsi. — ma solo perché l'ha detto lei un attimo fa. —
Socchiuse la bocca come per dire qualcosa, ma poi continuò ad annotare sulla carta e quando finì e ripose la penna nel taschino superiore del camice, guardò la ragazza con uno sguardo pieno di rancore e dolore.
— Perdonami, Heather, sono stato un maleducato. Sì, questo è il tuo nome. Ti chiami Heather Porter e i tuoi genitori sono Elizabeth Houston e Cole Porter, ma scommetto che non ricordi molto di loro. —
Heather sapeva che quello era solo un modo carino del dottore per dire che non ricordava nulla di loro, o nulla in generale, e che quello non era esattamente un buon segno, ma le venne comunque da dire, — In realtà, non ricordo nulla di loro. — con tono amareggiato.
— Okay, be', non c'è da allarmarsi sin da subito, ma adesso devo proprio assentarmi un momento. Tornerò non appena avrai bisogno di me. —
E detto ciò, uscì dalla stanza lasciandola sola.
Cominciò ad interrogarsi, a provare a ricordare, a sforzarsi di evocare qualche immagine chiudendo gli occhi, ma finì soltanto con l'irritarsi e incolparsi, per poi prendersela fisicamente col cuscino dietro la sua schiena.
Era passata una mezz'ora, se non di più, e il dottore ancora non si era fatto vedere, così decise di uscire da quella camera. Magari avrebbe visto i suoi genitori, lì fuori, e li avrebbe riconosciuti, e tutto sarebbe tornato alla normalità. Il dott. Irwin aveva anche detto che c'era qualcuno con lei nell'incidente? Suo fratello? Sorella? Ammesso che ne avesse alcuni.
Reprimendo lo sconforto e la vocina nella testa che le diceva di rimanere lì dentro, raggomitolarsi in un angolo e piangere, lei spalancò la porta con tutto il camice bianco indosso, i capelli scompigliati e il viso stravolto, e uscì a piedi scalzi per il corridoio. Non era una ragazza che si arrendeva facilmente, e quello, anche se non poteva ricordalo, era qualcosa che non scompariva con un incidente stradale, qualcosa che sentiva dentro. Qualcosa che un impatto, quanto forte vuoi che sia, non può cancellare. Allora perché i ricordi dei suoi genitori sì? Non erano ugualmente importanti?
Il corridoio sembrava apparentemente vuoto, e le venne istintivamente da chiedersi che ore fossero. Quando fece qualche altro passo sul linoleum bianco sporco, due figure apparvero nella sua visuale, verso la fine del corridoio.
Un'infermiera che veniva verso di lei e un ragazzo biondo alle macchinette del caffè.
Heather si nascose nella rientranza del muro davanti a sé, dove si trovava un tavolino in acciaio di quelli da sale operatorie con utensili per operare, medicine e saponi per le mani sopra, poi aspettò che l'infermiera passasse.
Quando accadde, si sporse abbastanza per vedere il ragazzo di prima aspettare con impazienza che il suo caffè fosse pronto, un braccio sulla macchinetta e l'altro lungo il fianco.
Decise che di sicuro lui non lo conosceva, e rise fra sé. Era troppo carino, con quei suoi occhi blu spenti e quel piercing al labbro. Era completamente vestito di nero e aveva dei strappi sui skinny jeans all'altezza delle ginocchia. Sul suo labbro c'era un taglio piuttosto lungo e aveva dei piccoli cerotti sulla tempia che probabilmente coprivano dei punti.
Pensò che per una ragazza che aveva appena scoperto di essere completamente sola perché non ricordava nemmeno il proprio nome, e che non sapeva a chi dare la colpa per questo, se non a se stessa (non che avesse scelto lei di dimenticare), non era molto importante il fatto che si fosse appena mostrata in tutto il suo dolore e la sua solitudine ad un ragazzo sconosciuto.
Si sedette sulle sedie di plastica verdi circa tre posti lontano da lui, con la testa contro il muro e gli occhi chiusi.
Lì fuori non c'era ombra di due signori di mezza età addolorati perché la loro figlia era in ospedale e probabilmente aveva un amnesia.
Sospirò e si impose di reprimere le lacrime, perché non poteva di certo piangere di fronte ad uno sconosciuto... che la stava fissando. Sembrava non aver toccato il suo caffè e Heather pensò che dovesse scottare abbastanza, in mano.
— Se non fosse perché sono qui e non ricordo neppure com'è il mio riflesso allo specchio, ti direi che non è carino fissare la gente. Ma con più irritazione nel tono. — disse, e realizzò di non ricordare nemmeno la sua voce da quando l'aveva usata per parlare col dottore una mezz'ora prima.
La sua mente stava facendo uno sforzo enorme per pensare a qualcosa che fosse precedente a quei trenta minuti appena passati, ma sembrava completamente vuota, e cominciava a venirle mal di testa.
— Anche se non sono sicura che la me di prima lo avrebbe fatto. Ma la me di ora sì. Decisamente sì. —
Il ragazzo, che ora stava guardando davanti a sé il muro verde acqua, non disse una parola. Semplicemente inghiottì nervosamente (come se lei potesse metterlo a disagio? Magari era davvero brutta) e abbassò la tazza di caffè fino al ginocchio.
Heather non disse nulla per un lungo tempo, pensando che 'fanculo se aveva fatto una figura di merda. Era contenta di ricordarsi come si parlava, scriveva, leggeva, quali erano i colori o come si provavano emozioni. Ammesso che si potessero dimenticare cose del genere.
— Quel caffè ti sta scottando la mano. — Dopo aver lasciato vincere la parte di sé che voleva dirglielo fece per alzarsi e congedarsi, ma lui, che adesso aveva passato la tazza di caffè nell'altra, per la prima volta, parlò: — Devi essere bella incasinata per stare qui. —
E quello era tutto ciò che, con quella voce profonda, Heather sperò non le avrebbe detto.

  ➳
okay, wow, sono davvero contenta. è da tanto che non  posto un nuovo capitolo o una storia - per la cronaca, non riuscirò mai a scusarmi abbastanza per aver eliminato axident con chiunque la stesse seguendo. semplicemente, non avevo ben strutturato la trama e mi sono buttata a capofitto in qualcosa che semplicemente non vedevo l'ora poteste leggere.

anyway, spero che darete una chance a questa di storia, perché ci ho davvero lavorato molto. saranno 8/9 mesi che la sto scrivendo e penso sia uscita fuori davvero bene. 
vi consiglio di vedere il trailer prima eeeeeeee niente, ci vediamo al prossimo capitolo! x

amnesia.Where stories live. Discover now