XXV

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Non appena la musica ricominciò a distrarla, dimenticò la ragione che la tormentava negli ultimi giorni.
Si sorprese di non essersi mai resa conto, da più di un mese che frequentava quella scuola, che quel piccolo mandorlo stesse fiorendo nel cortile.
Si spinse contro lo schienale della macchina, come se potesse inghiottirla, e continuò a guardare fuori dal finestrino i suoi compagni di scuola che si radunavano davanti all'edificio.
La canzone terminò e la verità la inondò come un'onda d'urto.
Ormai erano più di 24 ore che evitava i ragazzi.
Quando la sera del venerdì Luke si era addormentato praticamente tra le sue braccia (anzi, lei tra le braccia di lui), Heather aveva avuto modo di poter riepilogare e mettere insieme per bene i pezzi di quella storia. Inizialmente, quando aveva cominciato a rievocare, aveva sorriso e si era sentita come sotto l'effetto di qualche droga.
E poi improvvisamente l'effetto era finito e la realtà l'aveva terrorizzata. Aveva un ragazzo fantastico al suo fianco che l'aveva aspettata un mese e mezzo e che l'amava come lei non sapeva fare.
Non voleva rovinare quel che aveva. Lui probabilmente pensava che tutto fosse tornato come prima, alla normalità. Ma lei non sapeva com'era la normalità. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi, cos'avrebbe dovuto dire. Non poteva neppure credere di aver davvero fatto l'amore con lui.
All'inizio, si era data della paranoica, e presa dalla frenetica paura di rovinare tutto e far soffrire ancora Luke, aveva taciuto. Avevano passato il sabato insieme, tutti e quattro, avevano pranzato ad una tavola calda e poi avevano passato la serata al tavolo di un pub, con un mazzo di carte da poker e diverse bottiglie di birra.
Heather si era resa conto di non sapere come sentirsi quando Luke le si avvicinava o provava a prenderle la mano o, ancora, a darle dei baci.
Non era che non volesse o che le desse fastidio, ma era la prima volta per lei ed era successo tutto così in fretta.
Tornata a casa quella sera, l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu: Cosa c'è di sbagliato in me?

Scese dalla macchina ancora con le cuffie nelle orecchie, sperando in tale modo di evitare che qualcuno le si avvicinasse. Recuperò la borsa a mano dal bagagliaio e poi rivolse il suo sguardo al sole che bussava sulle sue palpebre.
Sbatté qualche volta gli occhi finché non si furono abituati alla luce.
Non vide i ragazzi vicino l'entrata e in un certo senso ne fu delusa. Non sarebbero mancati, no? Non solamente perché lei non rispondeva a messaggi e chiamate dalla mattina precedente.
— Allora, noce, sei pronta? — le domandò affettuosamente suo padre.
Da qualche giorno gli era scappato questo soprannome con il quale apparentemente prima la chiamava. Lui aveva sorriso imbarazzato e lei era scoppiata involontariamente e ridere. Ma solo perché le aveva fatto piacere.
Sospirò e lanciò un altro sguardo al suo fianco, dove i suoi coetanei l'aspettavano.
Annuì appena e sua madre li raggiunse.
— Ecco il tuo zaino. — Le allungò una mano.
— Grazie. —
Non sapeva cosa dire, anche perché non era sicura di voler andare, e se fossero rimasti qualche altro minuto probabilmente li avrebbe pregati di riportarla a casa.
Per lo spring break la scuola aveva organizzato una crociera di cinque giorni in cui sarebbero partiti dal porto di Seattle, avrebbero toccato le città di Victoria e Nanaimo, in Canada, e poi sarebbero tornati a Seattle.
Tutti i ragazzi provenienti dalla scuola avrebbero dovuto lavorare poiché per loro il prezzo di questo viaggio era stato scontato.
I suoi genitori le avevano proposto questa esperienza con un "Adesso che ti sei ambientata un po' meglio, potrebbe essere un'ottima occasione!" e Heather non era stata capace di dire loro di no. Non voleva deluderli e soprattutto non voleva dire loro che avrebbe preferito spendere quei cinque giorni visitando la sua di città, prima ancora di uscirne.
E poi era successo tutto quello che era successo con Luke, e se adesso ci pensava, quello scorso venerdì sembrava lontano anni.
Continuò a salutare i suoi genitori senza neppure ricordarsi quando avesse preso in mano la valigia.
Poi si voltò e s'immerse nella mischia; i suoi compagni sembravano fin troppo eccitati per i suoi gusti.
Un bus li avrebbe portati fino al porto, a circa un quarto d'ora di tempo, e poi si sarebbero imbarcati.
Se ci pensava bene, sembrava un'esperienza invitante, fondamentale per fare amicizia e incontrare nuove persone, per ambientarsi meglio e per vedere anche qualche posto nuovo. Ma ancora una volta Heather aveva l'impressione che le cose stessero andando troppo in fretta. Era la stessa cosa con tutti. Due giorni prima era disperata perché si sentiva persa, nel giro di due ore aveva fatto l'amore col ragazzo di cui era innamorata e nemmeno ventiquattrore dopo tutto era cambiato di nuovo. Senza aver avuto neppure il tempo di elaborare questo problema, si ritrovava su una nave nel bel mezzo dell'oceano.
Per il momento, Heather si limitava ad allungare il collo per cercare i ragazzi tra la folla, anche se non sapeva esattamente cos'avrebbe fatto una volta che li avesse trovati.
Ma non appena i professori cominciarono a farli dividere in file per salire sugli autobus, fu tutto inutile.
Finì per sedersi da sola, infilò le cuffie e guardò fuori dal finestrino per controllare che venissero. Poi, finalmente li vide arrivare correndo e si ritrovò delusa da non vederli assolutamente toccati. Non sapeva esattamente cosa si aspettasse. Che fossero tristi? Che non sarebbero venuti? Era lei l'unica a percepire qualche problema tra di loro, e avrebbe dovuto risolverlo velocemente.
I professori li fecero salire su un differente autobus, ma riuscì a cogliere lo stesso Luke che si girava per cercarla tra i visi affacciati dai finestrini, poi Calum gli diede una pacca sulla spalla per invitarlo ad affrettarsi.
Quando i loro occhi s'incontrarono, Luke le sorrise un po' deluso, probabilmente per il fatto di non poterla neppure salutare, e Heather riuscì a ricambiare un po' incerta.
Il tragitto non fu poi tanto diverso da quello fino a casa, solo leggermente più lungo. In men che non si dica, aveva passato tutti i controlli necessari e si era ritrovata sul ponte principale della nave. La piscina occupava tre quarti dello spazio, tutt'intorno c'erano sdraio per prendere il sole, il bar e lo spazio antistante occupato da tavolini, una vasca idromassaggio e davvero tanta gente.
E sin da subito, Heather si ritrovò ad evitare i ragazzi.
Doveva risolvere quello che provava prima di doverli fronteggiare tutti e quattro insieme.
Una volta che furono tutti riuniti, Heather si accorse che la sua non fosse l'unica scuola presente in quel viaggio. I professori cominciarono a dividerli in gruppi, ognuno dei quali con un professore–rappresentante di riferimento. A Heather toccò il professore che meno le piaceva: quello di educazione fisica. Non appena il suo gruppo fu formato, si girò sui tacchi e si diresse verso la sua cabina. Luke aveva provato a catturare il suo sguardo, ma lei non era riuscita a sopportarlo così aveva abbassato gli occhi e si era voltata.
Appena un paio di minuti dopo che si fu sistemata nella sua cabina, qualcuno bussò alla porta e un caschetto nero con frangetta apparvero alla porta.
Heather faticava a crederci. Aveva davvero davanti a sé la fidanzata di Luke... Nello stesso momento in cui aprì la bocca per parlare, Leona fece un passo avanti.
— Credo che abbiamo bisogno di parlare. —
Heather riuscì a malapena ad annuire prima di seguirla fuori dalla porta, verso il lato opposto al ponte e sempre più all'interno nel labirinto di corridoi che si ramificavano tra le cabine.
Heather moriva dalla voglia di dirle, non proprio nel modo più gentile possibile, che aveva fatto l'amore con Luke, che lui l'amava così tanto da aspettarla anche una vita intera. Poi però si sentì in colpa, perché in fondo Michael le aveva detto che la loro relazione era stata tutta una finzione, dunque non c'era da preoccuparsi.
Sentiva che c'era qualcosa che le stava sfuggendo. Qualcosa che sapeva, ma che non riusciva a mettere a fuoco. La sua mente era in subbuglio.
E se aveva fatto sesso con un ragazzo fidanzato?
— Perché ti sei fermata? — le domandò Leona quando si voltò verso di lei. Heather scosse la testa, — Niente. —
Leona continuò a camminare. Heather non riuscì neppure ad immaginare che tutto ciò che Luke le aveva raccontato fosse falso. Lo aveva visto soffrire, ridere dalla gioia, stare male fisicamente. Lo aveva vissuto sulla sua pelle. Non poteva essere.
Finalmente raggiunsero una porta di vetro che sembrava accedere all'esterno. Dovevano trovarsi alla fine della nave perché non c'erano più persone in giro e non sembravano esserci altri corridoi in cui svoltare.
Quando uscirono, il vento le sferzò i capelli tanto da non permetterle di vedere. L'aria sapeva di acqua di mare. Heather inspirò a pieni polmoni, per imprimere quell'odore nella sua mente, nel suo corpo, come se in qualche modo potesse poi farlo sentire ai suoi genitori. Nonostante sapesse che loro conoscevano quell'odore molto bene, per Heather era tutto così nuovo che sentiva di poter rimanere lì fuori per sempre.
E la sua voglia aumentò quando si guardò attorno. Si trovavano decisamente a poppa; il ponte circondava in orizzontale il fianco della nave, perciò era ridotto rispetto al ponte di prua. Era anche più spoglio: c'erano solo qualche sedia in acciaio, dei lettini per prendere in sole e decine di persone di seconda classe come artisti o i passeggeri più poveri. Alcuni cercavano l'ispirazione nel paesaggio davanti a loro, altri suonavano e cantavano; altri ancora si erano accucciati contro il muro e chiacchieravano o riposavano.
Oltre la balconata in legno c'era il mare, striato dalla schiuma bianca che la nave si lasciava dietro e costeggiato in lontananza da Seattle.
— Allora, — esordì Leona. Il suo portamento non dava a mostrare nervosismo, ma la voce la tradì un po'. — non so quanto Luke ti abbia detto. —
— Cos'avrebbe dovuto dirmi? — scattò Heather in quarta.
Leona sembrò pensarci un attimo. Solo allora Heather riuscì a guardare meglio da vicino quella ragazza. I suoi occhi non erano davvero entrambi del colore del ghiaccio: uno dei due sfumava dal color cacao al color ghiaccio. Al naso aveva un piccolo anellino dorato che le attraversava il setto nasale, da una narice all'altra. I suoi occhi trasmettevano calore, ma il suo corpo sembrava strillare di non avvicinarsi più di così.
— Sai chi sono? —
Si domandò se non avesse parlato con i ragazzi? Magari non sapeva che lei e Luke ora stavano insieme. Decise di metterla alla prova; se quello che diceva Michael era vero, lei glielo avrebbe confermato.
Con riluttanza, Heather riuscì a far uscire le parole dalla sua bocca. — La fidanzata di Luke? — Sembrò più una domanda che un'affermazione, realizzò Heather, che sperava tremendamente Leona la contraddicesse, ma quest'ultima non sembrò notarlo. Al contrario, spostò lo sguardo su un punto alto sopra di lei, ma non reagì in nessun altro modo.
— Io lo ammazzo. — mormorò, con un mezzo sorriso, prima di riportare lo sguardo su Heather. — Senti, ciò ti confonderà un po', ma... — La fissò negli occhi come se sperasse che da un momento all'altro lei potesse fermarla e dirle "Ehi, stavo scherzando, certo che so chi sei!".
— Ho finto di stare con Luke. In realtà, c'è stato solo quel bacio quella sera... Pensavo di venire e parlare un po' con te, ma poi Luke mi ha baciata (è stato anche piuttosto strano, devo dire) e mi ha detto di fingere. Io sono stata complice per tutto questo tempo, ma adesso ho bisogno della mia migliore amica. —
Qualcosa scattò dentro Heather. Sapeva chi era quella ragazza.
— E so che tu hai bisogno di me. Ho promesso di starti sempre accanto, e in questo mese non l'ho fatto per niente. Non mi sono neppure presentata.
Avevo paura. Sapevo che non mi avresti riconosciuta e avevo il terrore che le cose non sarebbero tornate come prima. Ho visto Luke soffrire così tanto che... —
Lasciò cadere il discorso.
— Mi piacerebbe essere come Luke e ricominciare tutto da capo, fingere di non aver passato gli ultimi sette anni insieme, ma purtroppo non sono lui. A malapena ti avrò detto tre volte che ti voglio bene in questo tempo passato assieme. Eri tu quella che dimostrava maggiormente affetto, e adesso me ne pento. Il giorno prima io e te stavamo scherzando che qualcosa del genere potesse accadere a noi, e il giorno dopo ti ho persa. —
Heather sentì una fitta al cuore. Aveva appena realizzato che lei fosse la sua migliore amica e che i suoi genitori gliene avessero anche precedentemente parlato, che sentì quella presa stretta a cui aveva deciso di aggrapparsi sfuggirle di mano... o peggio, soffocarla.
— Non mi sto arrendendo, e non sto neanche dicendo che non ti starò vicina. Io ci sarò sempre, Heather, quando ne avrai bisogno. Ti starò vicina come se nulla fosse mai successo. Ti farò ridere quando avrai voglia di piangere, e ti lascerò sfogare quando ne avrai bisogno. Nel frattempo, però, non posso starti vicina. So che è una mia mancanza, per questo se avrai bisogno non mi tirerò mai indietro, ma non posso fare finta che nulla sia successo, come i ragazzi. Perché ciò che mi riesce meglio è scappare. —
Heather capì che Leona non era una ragazza capace di aprirsi. Era una persona che viveva al giorno, mentre lei tendeva a pianificare la sua vita. Era una persona capace di farti provare cose che avresti ricordato per il resto della vita, ma lasciando lei vuota.
Sapeva che in quel momento Leona aveva bisogno di lei più del contrario.
— Allora scappiamo insieme. —


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