XIII

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Erano un paio di giorni ormai che non sentiva o vedeva i ragazzi, e non per colpa loro. Si poteva dire che avesse fatto tutto da sola. Sebbene non credesse che la mattina si fermassero più sotto casa sua ad aspettarla, aveva deciso di prendere l'autobus, e pure quello dell'orario precedente al solito, per evitare imbarazzanti silenzi o situazioni. Inoltre, a pranzo, per non far vedere che li stesse evitando, li salutava con un cenno e poi andava a mangiare fuori.
C'erano state un paio di volte in cui aveva visto con la coda dell'occhio uno dei ragazzi provare a chiamarla per unirsi a loro, ma lei aveva fatto finta di non averli visti e se n'era andata.
Non lo faceva con cattiveria, ma aveva catturato diverse volte lo sguardo di tristezza, dolore o semplicemente scomodità che ai ragazzi scappava quando si ritrovavano a parlare di qualcosa che lei non ricordava. Preferiva risparmiare loro questo dolore, anche se non sapeva ancora se fosse la scelta migliore.
In ogni caso, ne aveva bisogno anche lei.
Ma quella mattina c'era qualcosa di differente. Aveva preso l'autobus e quindi aspettato una decina di minuti che la folla di ragazzi si radunasse fuori dall'atrio scolastico, poi altri cinque minuti dopo, la campanella era suonata. Le mancavano così tanto i ragazzi che non si era accorta di controllare ogni mattina che arrivassero e aspettassero l'inizio delle lezioni dalla parte opposta alla strada che permetteva l'accesso al cortile scolastico, mentre nel frattempo, certe volte, Calum fumava.
Ma quello mattina non li vide e il dubbio sul perché le rimase in mente per tutte le successive tre ore di lezione. Non è che fosse preoccupata, voglio dire, se mancavano tutti e cinque significava solo che avevano marinato la scuola per andare a divertirsi. Il fatto è che le mancava così tanto passare del tempo insieme che desiderò non fosse successo niente per trovarsi con loro.
Alla ricreazione, uscì in cortile e inaspettatamente Luke era lì. Sembrava nervoso. Spostava il peso da una gamba all'altra e si sfregava la nuca energeticamente mentre si guardava in giro.
Quando la vide, le si avvicinò immediatamente. Heather era rimasta ferma sulla gradinata dell'edificio, non sapendo bene come comportarsi.
— Senti, so che abbiamo detto questa cosa dello spazio e non voglio assolutamente metterti fretta, anzi noi non vogliamo– —
— Luke, sputa il rospo. — Fu franca, perché aveva come la sensazione di averlo già visto comportarsi così, era come un dejavù.
La fissò perplesso, — Okay. Non so se è una buona idea. Non ho chiesto proprio ai ragazzi, mi sono fiondato qui, ma... ho bisogno che tu venga a casa di Michael. Adesso. —
Heather non se lo fece ripetere due volte, perché dalla sua faccia aveva capito che qualcosa non andava. E se qualcosa che aveva a che fare con Michael non andava, sentiva già il petto farsi pesante. Non sapeva perché si fosse legata così tanto a quei ragazzi, e se fosse stato un altro momento avrebbe probabilmente sperato dentro di sé che fosse per qualche residuo di ricordo che le era rimasto. Era impegnata a pensare a cosa fosse successo. Luke non sembrava più tanto agitato, era come se il grande problema fosse stato convincere lei, ma continuava a tamburellare le dita sul volante, nervosamente. Dentro la testa le fulminò il pensiero del perché andassero a piedi o con l'auto la mattina, se Luke aveva la macchina. Decise di non pensarci in quel momento e lo represse.
Non parlarono per tutto il viaggio e quando arrivarono, Heather cercò di non affrettare le cose. Magari non era grave, anzi, certamente non lo era.
Prese un respiro e si lasciò condurre ancora una volta dentro la casa dell'amico.
La prima cosa che notò fu che le tende erano tutte chiuse, eccetto quelle della porta finestra che dava al giardino, lasciando solo uno spiraglio di luce penetrare all'interno, di conseguenza era quasi tutto buio; la seconda, che il salotto e la cucina erano stranamente spoglie. Non c'erano residui di cibo spazzatura in giro, cuscini buttati dovunque, cartacce, vestiti o roba varia come l'ultima volta che era stata lì.
La terza cosa che le venne in mente attraversando la casa fu che, per due volte che andava, non aveva mai visto i genitori o loro tracce. Non che quello significasse nulla, potevano essere a lavoro o in viaggio.
— Luke... — Quando si voltò, il ragazzo in questione era ormai andato avanti mentre lei era rimasta indietro, perplessa da tutti quei pensieri.
— Luke, non devi farla venire... non è il momento. — Sentì Ashton mormorare, e fu allora che il suo cuore ammise che qualcosa di grave stava realmente accadendo. Si avvicinò di colpo alla stanza di Michael da cui provenivano i rumori e nello stesso istante sentì proprio la sua voce ruvida e attanagliata dal dolore pronunciarsi. Era come sentire delle unghie grattare sulla lavagna. L'intensità con la quale parlò la fece fermare sul posto e venire i brividi.
— No, non la voglio qui. Mandatela via. — Michael fece una pausa e Heather sentì solo silenzio, — Non è lei. Lei è morta. Quella è solo una ragazza uguale a Heather. Non si ricorda di noi e non si ricorderà mai, fatevene una ragione. —
Per un attimo, a Heather sembrò che le si fossero tappate le orecchie. Sentiva solo un fischio in lontananza, come se una bomba le fosse esplosa addosso e lei fosse diventata sorda. Era un po' così. Non s'era aspettata di sentire quello. Ma alla fine, era la verità. Era quello che pensavano tutti, a partire da lei e dai suoi genitori. Era quello che pensavano tutti quando passava per i corridoi della scuola, quello che pensavano i suoi vecchi amici e quei quattro ragazzi.
Per un momento, quella bomba che le aveva impedito di sentire le sembrò reale e lei desiderò d'essere scoppiata con essa.
Un attimo dopo, Luke uscì dalla stanza, probabilmente quando si era ricordato che lei era lì.
Non ce l'aveva con Michael. Era stata tutto quel tempo a commiserarsi, ma il dolore che gli altri intorno a lei provavano era mille volte peggio.
Luke la prese dolcemente per un braccio e la portò oltre una porta di vetro scorrevole, nel giardino sul retro. Fuori, la brezza fresca la colpì come uno schiaffo in pieno viso e la fece tornare al mondo reale.
— Ascolta, — esordì il ragazzo. — Michael soffre di depressione. Succede spesso che si chiuda in casa da solo per ore. Gioca ai videogiochi oppure se ne sta buttato sul letto, senza fiatare, neppure quando ci siamo noi e proviamo a tirarlo su. Non mangia e non stacca. A volte lo ha fatto anche per dieci ore di seguito. Non succede sempre, ma quando sta per accadere noi lo capiamo e cerchiamo di rimanergli vicino... prima, lo facevi anche tu. Pensavo che magari, venendo qui... Mi dispiace.—
Quando sentì nuovamente silenzio, cercò di assorbire tutto. Era rimasta ancora alla depressione. Non aveva immaginato una cosa del genere e quello non faceva che farla soffrire ancora di più. Perché a lui era successo quello? Perché avevo dovuto avere quell'incidente e ferirlo in tal modo?
Non riuscì a dire niente e Luke sembrò preoccuparsi.
— Ascolta, non è colpa tua, okay? So che stai pensando e no, non farti una colpa per quello che è successo. Michael non pensa veramente quelle cose. —
— Invece sì. — Heather sorrise a Luke, ma probabilmente fu un sorriso forzato.
Inghiottì il sapore amaro e rientrò in casa.
Adesso non poteva permettersi di cadere anche lei, di arrendersi. Doveva essere forte per Michael. Glielo doveva.
Dentro, Ashton era in corridoio. Quando la vide, trattenne il fiato. Non disse nulla, finché non vide anche Luke fuori e non realizzò che probabilmente era stato lui a portarla lì.
— Da quanto sei qui? — Nella sua voce non c'era fastidio, solo timore. Timore che avesse sentito ciò che Michael aveva detto.
La ragazza gli sorrise con stanchezza per evitare di rispondere, perché dentro le parole di Michael la stavano mangiando viva. Lui capì e Heather notò la tensione sulle spalle ammorbidirsi per un riflesso incondizionato.
— Mi spiace per... — Indicò dietro di sé ma evitò di continuare. Heather odiava la compassione e la commiserazione, eppure non poteva far altro che tacere e accettare quel gesto.
Praticamente ciò che aveva fatto sin dal primo momento che si era risvegliata in ospedale. Quando i suoi genitori erano entrati in stanza, riempiendola di stronzate riguardo al fatto che la sua memoria sarebbe tornata e che tutto sarebbe andato bene. O quando aveva messo piede per la prima volta a scuola vedendosi lanciare occhiate e essendo sulla bocca di tutti; aveva sorriso e fatto finta di niente.
Mentre l'unica cosa che aveva voluto fare fin dal primo momento che il dottore gli aveva rivelato quello che era successo, era stato urlare.
— Posso vedere un momento Michael? Giuro che non rimarrò molto e se lui dopo vorrà ancora che me ne vada... lo farò. Per sempre. —
Ashton sembrò rimanere basito. Calum li raggiunse un momento dopo in procinto di dire qualcosa, ma serrò la bocca quando la vide.
Lei li superò ed entrò in camera di Michael. Come il resto della casa, era tutto buio, a differire era l'odore. Odore di chiuso e sporco. Michael era davvero lì da molto.
L'unica cosa che illuminava la stanza era il televisore che il ragazzo stava fissando come ipnotizzato. Heather si chiese da quanto tempo stesse così e le venne voglia di strappargli il joystick dalle mani e tirarlo con forza fuori dalla stanza.
Non voleva che Michael si facesse del male così, ma di certo non poteva arrivare lei e agire con la forza, pensando che fosse la cosa migliore.
Una volta avrebbe saputo cosa fare, si disse. In quel momento, si sentiva più inutile che mai.
— Lo so che non volevi vedermi, — esordì, sentendo la voce più ferma di quanto pensasse. Lui si fermò improvvisamente dal muovere le dita sui comandi e sullo schermo comparve la scritta GAME OVER. — ma io ne avevo bisogno. —
Pensò a cosa dire che potesse infondergli forza, che potesse aiutarlo; non scuse e piagnistei. Lui sembrava aspettare in silenzio che continuasse.
— Il mondo è un bel posto in cui vivere, Michael, e giuro, giuro che se c'è qualcosa che ti impedisce di viverla a pieno, io farò qualunque cosa sia in mio potere per evitare che accada. Perciò, rimarrò qui. Rimarremo tutti qui finché ne avrai bisogno. In fondo, scommetto che non sarà la prima volta che mi batti in un gioco della play, no? — Heather gli sorrise, sedendosi per terra accanto a lui, con la schiena contro il letto. Lui non fiatò, ma seguì ogni suo movimento con lo sguardo. Heather raccattò da dietro il mobile della televisione un altro joystick e cercò il modo di accenderlo.
— Allora, chi è che dobbiamo sconfiggere? — Gli mostrò un ultimo sincero sorriso e poi si rivolse alla televisione, percependo il ragazzo continuare a fissarla per qualche altro secondo.
E giurò che, in un certo momento, le avesse persino sorriso indietro.

amnesia.Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz