5 -Giornali e capelli

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La giornata a casa di Scooter era andata abbastanza bene, a dire il vero più di quanto mi sarei mai aspettata, avevamo parlato del più e del meno, come se non ci fosse stato alcun contratto di mezzo, prendendo più confidenza.
Scooter faceva battute, e sua moglie sorrideva di continuo.
Io e Bieber non ci eravamo più rivolti la parola dopo quanto avvenuto in giardino, tralasciando il suo sguardo fisso su di me per quasi tutto il pranzo, e sinceramente a me andava bene così. Non volevo parlare con lui, neanche per sogno.
Nel pomeriggio Richard mi aveva accompagnata a casa. Il viaggio era stato silenzioso, ma poi, dandomi del "lei", mi chiese come era andata. Gli lasciai prendere più confidenza, facendomi dare del "tu", avviando una conversazione più che forzata per me.

«Siamo arrivati» mi sorrise dallo specchietto prima di scendere per aprirmi lo sportello. Lo ringraziai e tirai fuori le chiavi di casa. Nonostante non avessi programmato questa giornata, era andata bene per i miei gusti, a parte l'improvviso avvicinamento di Bieber nel giardino di quell'enorme villa.

Mi chiusi la porta di casa alle spalle, dirigendomi direttamente verso il bagno. Aspettai che arrivasse l'acqua calda, e nel frattempo posai la borsa in camera prima di spogliarmi.
Entrai nella doccia beandomi dell'acqua che scorreva lungo la mia pelle, sentendo i muscoli rilassarsi. Avevo sempre avuto l'abitudine di farmi docce calde anche d'estate. Insaponai il mio corpo lavando ogni centimetro di pelle, ricoprendolo di schiuma. Sentii il telefono squillare, e alzai gli occhi al cielo stressata. Tempismo perfetto.
Lo lasciai suonare, decidendo che avrei richiamato quella persona più tardi.

Quando finii avvolsi il mio corpo in un asciugamani, lasciando i capelli bagnati, prima di infilarmi un paio di pantaloncini e una canotta bianca.
Il mio telefono squillò di nuovo, e raggiunsi la camera da letto correndo, per rispondere.
«Sì?» non avevo nemmeno controllato chi fosse, mentre frugavo nei cassetti alla ricerca dei calzini. Avrei dovuto iniziare a sistemare, perché la mia camera sembrava una stalla. Da qualche parte avevo letto che la confusione della tua stanza rappresenta quella che hai nella mente. Se davvero fosse stato così, la mia mente era il posto in cui nessuno avrebbe mai voluto mettere piede.

«Yasmine, tesoro come stai?» forzai un sorriso riconoscendo la voce di mia madre, come se fosse stata davanti a me. Solo il suono della sua voce provocava in me un senso di nausea.
«Bene mamma. Sai qualcosa sul volo?» sentii un movimento dall'altra parte del telefono, poi rispose.
«Ehm, si. Domani alle tre ho il volo. Dovrei arrivare per le sei» annuii, ricordando poi che non poteva vedermi.
Mi stava scoppiando la testa. Come si sarebbe comportata?
«Va bene, ti vengo a prendere all'aeroporto allora. A domani» mi rivolse un semplice "Ci vediamo domani" prima che attaccassi, rilasciando un sospiro pesante. Mi sembrava quasi di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo.

L'idea di mia madre qui, dentro casa mia, mi infastidiva. L'idea di vederla dopo l'ultima volta mi dava alla testa.
Cercai di distrarmi in qualche modo e finii per sistemare un po' casa, immersa nel caos più totale. I miei vestiti erano sparsi in giro, l'armadio bianco aperto, il letto sfatto e le tende trasparenti svolazzavano nell'aria a causa della finestra aperta che lasciava passare il vento.
Mi illusi che forse il mio cervello ora che avevo pulito era un po' più in ordine, e quasi risi ai miei pensieri.

Mi stavo letteralmente annoiando, quindi decisi di uscire a farmi un giro. Infilai delle zeppe e mi chiusi la porta di casa dietro, per la terza volta in quella giornata.
Mi diressi verso la libreria, trovando un traffico assurdo, più del solito. Rimasi intrappolata in un incidente per ben quaranta minuti, insultando mentalmente l'idiota che aveva saltato il semaforo rosso e aveva finito per scontrarsi con un'altra macchina.

Quando arrivai, mi sembrò di essere uscita dall'inferno. Puntai lo sguardo sul mio scaffale preferito, allestito dagli innumerevoli libri. Ogni volta che entravo li dentro ne uscivo con minimo cinque libri nuovi.
Amavo leggere, mi portava in mondi diversi, mi immedesimavo nei personaggi, e soprattutto mi aiutava a non pensare.
Afferrai un romanzo, iniziando a leggerne la trama, sorridendo poi soddisfatta della mia scelta. Mi sentii picchiettare la spalla da qualcuno, prima di voltarmi.
Una ragazza sui tredici anni era dinanzi a me con un pezzo di carta che sembrava essere stato strappato al momento, una penna e il telefono tra le mani. I suoi occhi erano lucidi, e sembrava quasi stesse tremando.

Who We Are - J. B. || #Wattys2018Where stories live. Discover now