Capitolo 5: Esacape

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"L'animo umano è sempre ingannato nelle sue speranze, e sempre ingannabile: sempre deluso dalla speranza medesima, e sempre capace di esserlo: aperto non solo, ma posseduto dalla speranza nell'atto stesso dell'ultima disperazione."

(Giacomo Leopardi)



Berlino, 14 ottobre 1940


"No, non voglio farlo!"

Una voce maschile fece svegliare Ariela. Era Natan.

"Non gridare, potresti svegliare tutti!" un'altra voce maschile. David.

Curiosa, Ariela si alzò dal letto e si avvicinò alla porta socchiusa sbirciando. La stanzetta dove lei e Natan dormivano si affacciava perfettamente al piccolo cucinino (se così poteva essere chiamato, visto che fungeva anche da bagno e soggiorno), quindi poté vedere Natan seduto al tavolo con i genitori: il padre sulla sinistra e la madre sulla destra.

Il ragazzo sembrava visibilmente preoccupato e i suoi occhi così belli e chiari sembravano ancora più freddi e scuri.

"Natan, ascoltami" Devora accarezzò la mano del figlio parlando con calma. "Quello che farai, lo farai per tutti noi. Specialmente per Ariela."

Udendo quel nome, Natan osservò la madre, la quale proseguì il suo discorso.

"Stanotte vi ho sentiti e vi ho seguiti" continuò la donna. "Ho visto cosa hai fatto per lei e sapevo che tra voi ci fosse qualcosa. L'ho sempre saputo. Ma quello che hai fatto, è stato un atto molto coraggioso, figlio mio. Non è da tutti uscire dal nascondiglio di notte per portare la propria ragazza a guardare le stelle, con il rischio di essere beccati."

"Cosa?" David si infuriò "Stanotte siete andati a vedere la stelle? Ma sei pazzo? La prossima volta portala a prendere un gelato e magari dì a tutti dove ci troviamo noi, poveri ebrei, costretti a vivere in una gattabuia per non rischiare la vita!"

Natan, in preda al nervosismo, si alzò di scatto e diede uno schiaffo al padre, il quale rispose allo stesso modo.

"Non ti permettere mai più!" urlò David. "Sono stato chiaro?"

"Ma chi sta urlando? Che succede?" chiese Alexander, seguito dalla moglie, uscendo dalla stanzetta.

"Potremmo essere scoperti" affermò Chana.

"Chiedetelo all'Hitler ebraico!" esclamò Natan.

Si alzò dalla sedia e corse verso la stanzetta dove dormiva con Ariela, la quale si stese sul letto per non essere scoperta.

Il ragazzo dai capelli corvini, si stese accanto a lei e le accarezzò i capelli, per poi sorridere alla vista della ragazza addormentata.

Non appena sentì il dolce tocco, Ariela aprì gli occhi, per poi stropicciarli.

"Ehi" Ariela sorrise "è successo qualcosa?"

"N-no" Natan le baciò la fronte.

"Sicuro?" la rossa alzò un sopracciglio "Sembra che stai per piangere"

"Tranquilla, va tutto bene. Ho.. ho solo battuto il mignolo contro lo spigolo del letto." il ragazzo accarezzò i capelli della ragazza.

Ariela abbracciò l'amico, mentre Natan continuava a giocare con i riccioli della rossa.

"Non mi abbandonerai mai, vero?" Ariela sospirò e Natan si irrigidì.

"No, mai. Non ti lascerò mai sola" Natan abbracciò ancora più forte a sé la minore, come per sentirla più vicina, come se fosse l'ultima volta che l'abbracciasse, come per imprimere su di sé il suo profumo.

"Mi meraviglio che non ti sia svegliata udendo le urla mie e di mio padre"

"Allora è successo qualcosa!" Ariela puntò il dito verso il viso del ragazzo.

Lui sorrise "È solo una semplice discussione fatta con papà. Sai come è: siamo rinchiusi qui da un bel po' e il cibo sta per terminare"

"Sopravvivremo anche a questo, Nat" Ariela baciò la guancia dell'amico e lo abbracciò nuovamente, più forte di prima.





La giornata passò tra i pasti scarsi a pranzo e a cena e tra le occhiate fulminanti che Natan e il padre David si scambiavano.

Dopo cena, tutti si ritirarono nelle proprie stanze, cercando di dormire.

Ariela aveva il capo poggiato sul petto di Natan, mentre quest ultimo leggeva un libro alla ragazza, che pian piano si addormentò.

Quando Natan se ne accorse, adagiò la ragazza sul cuscino e la coprì con le coperte. Scese dal letto e, da sotto di esso, sfilò un fagotto. Si avvicinò al viso della rossa e, dopo averle accarezzato i capelli e baciato la fronte, le sussurrò un perdonami, per poi uscire dalla stanza. Chiuse la porta della stanza alle sue spalle e scrisse un bigliettino che lasciò sul tavolo in soggiorno. Sospirò e permise a una lacrima di attraversare il suo viso. Mise il fagotto in spalla e aprì la porta del nascondiglio, spostò l'armadio senza far molto rumore per non svegliare gli altri. Guardò (forse per l'ultima volta) quella minuscola casa e chiuse la porta, per poi nasconderla con l'armadio.

Ad ogni scala che toccava con il piede, corrispondeva ad una pugnalata al cuore.

In fondo lui aveva promesso ad Ariela di rimanere con lui fino alla fine, ma a quanto pare non era capace di mantenere le promesse.








"VEDI COSA HAI FATTO? LO HAI OBBLIGATO AD ANDARE VIA!"

"Ma cosa dici, Devora! Sei impazzita?"

"GUARDA, GUARDA COSA HA LASCIATO TUO FIGLIO! SPERO SOLO CHE STIA BENE, CHE RITONERA' IL PRIMA POSSIBILE DA NOI!"

Ariela balzò dal letto svegliandosi.

Ma erano impazziti? Gridando così rischiavano di essere scoperti da coloro che abitavano nel quartiere, o dai nuovi proprietari del negozio stesso, che di lì a poco avrebbero aperto la serranda e cominciare la loro giornata lavorativa.

La ragazza si alzò dal letto e si recò nel soggiorno sbadigliando e grattandosi la testa.

Vide il padre seduto accanto a David e la madre in piedi accanto a Devora, la quale aveva gli occhi rossi e il viso bagnato dalle lacrime.

"Che succede?" Ariela trovò il coraggio di interrompere la discussione tra gli adulti, avvicinandosi a loro.

Devora non parlò, ma diede alla ragazza il foglietto che aveva in mano.

Ariela lo aprì e cominciò a leggere:

Ciò che sto facendo può sembrare egoista, ma non ce la faccio a vivere in un buco. Preferisco fuggire da qui e tentare la fortuna.. o la sfortuna.

Natan.

Ariela continuava a fissare in foglio, leggendo e rileggendo più volte ciò che era stato scritto, fin quando trovò il coraggio di chiudere gli occhi per un po' e, senza dire una parola, si recò in camera sua, per poi gettarsi sul letto e cominciare a piangere.

Perché l'aveva abbandonata? Le aveva promesso che sarebbe rimasto con lei. Fino alla fine.

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