The Irwin

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Hamptown era strana.

Non c'erano molte luci e non c'era nemmeno molta popolazione.

Non era una località marina quindi spesso consolava i nuovi arrivati. Solo che tornava l'inverno e continuava ad essere morta.

Arlene Irwin viveva in quella città da pochi mesi e tutto sommato le andava bene. Lei odiava il caos e lì caos non esisteva nel lessico locale.

Faceva parte di una famiglia numerosa, Gli Irwin, erano una leggenda nel posto dove vivevano.

Suo padre, Giorgio, era italiano ed aveva vissuto tutto la vita in Italia con la madre, quando il padre,americano, lo aveva mollato per un'altra famiglia.

Era un allenatore di cinquantasei anni, non molto famoso, ma molto bravo. Tutti a Hamptown sapevano quanto grande fosse, soprattutto perché aveva come compiuto un'impresa di Ercole del XXI secolo; aveva preso undici ragazzetti che della loro vita non facevano niente, li aveva ritenuto validi almeno un poco, insomma che sapessero almeno cosa fosse un pallone da calcio, e li aveva trasformati in talenti.

E' importante che un essere umano creda in un altro.

Poi vi era la madre, Babie: uno e ottanta di italianità e fierezza.

Il suo vero nome era Barbara ma nessuna la chiamava con questo nome di poca importanza, come diceva sempre lei.

La verità era che la famiglia Irwin non sarebbe mai diventata leggendaria senza di lei.

Una bellezza inimmaginabile, una cultura indescrivibile.

Così come le sue figlie Audrey, Agnes e Arlene e il suo unico figlio terzogenito Ashton.

Una famiglia che non puoi che amare e rispettare in tutto quello che fa e che è.

«La Joya viene ancora una volta beccata fuori dall'ennesimo locale di lusso – tuonò la giornalista – Agnelli dice basta.»

La famiglia era riunita in salotto, ascoltando le notizie del telegiornale italiano, come era appunto la loro lingua, e ascoltava in silenzio, che veniva interrotto solo da lunghi sospiri rassegnati del padre.

Ne sapeva di calcio e sapeva riconoscere i talenti, ne aveva pure scoperti molti in Italia.

«Fossi stato Allegri, lo avresti preso a sberle.» commentò il figlio, Ashton.

Tutti sapevano quanto severo fosse nel suo lavoro e nessun aveva mai le palle di negare la sua bravura. Ma lui stesso ammetteva di essere troppo rigido alle volte e di non saper sempre usare la buone maniere.

Giorgio spense la televisione «Il problema di quelli bravi è che poi si montano la testa, la Joya mi sa che smesso di brillare.»

Il suo telefono squillò e tutto ciò che sentirono fu: «Agnelli, quale buon vento.»



Storia breve, pochi capitoli massivo 15.

Hola Girls&boys, fatemi sapere se la storia vi piace, se è sì, stellinate questa storia e commentate con tutto quello che pensate.

Se non vi piace, sono aperta alle critiche costruttive.

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