Capitolo 19

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Foresta Amazzonica, luglio 2042

Una leggera brezza soffiava da settentrione colpendo con la sua freschezza il volto teso dell'archeologo che, da ben dieci minuti, attendeva l'arrivo della nuova collega.

Gli occhi d'onice di Pablo erano puntati sulle porte automatizzate dell'aeroporto e, ansiosi, aspettavano solo di rivederne il volto.

Un volto che non vedo da ben tre anni, ma le cui fattezze non ho mai dimenticato.

A sottolineare la verità di quel pensiero ci fu il sobbalzo del proprio cuore non appena la riconobbe.

Stretta nella consueta divisa da lavoro, fatta di pantaloni mimetici con le tasche e una camicia senape con maniche a tre quarti, Summer sembrava la stessa donna che gli aveva spezzato il cuore. I lunghi capelli castani le ricadevano con morbide onde sulle spalle e si muovevano appena con l'alito del vento, mentre gli occhi verdi, grandi e screziati d'ambra, scrutavano tutt'intorno con vivo e personale interesse.

Era a diversi metri di distanza e già l'abituale sicurezza dell'uomo si era incrinata, schiacciata da quel sentimento passato, un misto di amore e derisione che, infido, ancora gli bruciava sulla pelle.

Sapeva bene di avere la possibilità di prendersi la propria rivincita eppure, non era sicuro di volerla.

Un unico pensiero colmò la sua mente e, alla fine, si convinse che la soluzione migliore per affrontare il comune passato era ignorarlo, parlando del nuovo lavoro e celando in fondo all'anima tutte le recriminazioni che gli salivano alla bocca e gli avvelenavano l'anima.

Dopo aver preso un profondo respiro si decise e sollevò la mano, facendo in modo che lei lo notasse.

La risposta non tardò ad arrivare e fu tanto inattesa quanto piacevole. Sul viso diafano della donna comparve un sorriso autentico che fu in grado di illuminarle il volto. La vide controllare la strada prima di corrergli incontro e stringerlo in un affettuoso abbraccio di saluto.

"Bene arrivata!" la salutò sentendo l'animo alleggerirsi all'istante.

"Grazie", replicò sollevata, "come stai?"

L'uomo rispose al sorriso con uno altrettanto leggero, "Bene, tu? Come è andato il viaggio?"

"Bene" rispose stringendosi nelle spalle, quasi in imbarazzo per tutti quei bene elargiti a ripetizione e, salendo al lato passeggero, incrociò le braccia al petto per poi inchiodare lo sguardo sul profilo dell'amico che, stoicamente, evitava di ricambiare.

"Cosa c'è?" le domandò infine, consapevole di quell'attento esame e dell'esistenza di un milione di domande in sospeso.

Gli occhi verdi, belli ed espressivi proprio come li ricordava, rimasero puntati su di lui con una muta domanda che la bocca non si sentiva pronta a pronunciare.

"Sì" rispose Pablo semplicemente, mettendo in moto la jeep e partendo senza aggiungere altro.

Rimasero in silenzio per un buon tratto di strada, lui con gli occhi puntati sulla strada e lei sulla vegetazione circostante, entrambi assorti in chissà quali pensieri.

"Non pensavo chiamassi me" asserì la donna tornando a guardarlo. Sperando e pregando di vedere un guizzo della mascella o una microespressione familiare, che le palesasse i suoi pensieri.

Quella chiamata dopo così tanti anni di silenzio necessitava di diverse spiegazioni.

"Amo circondarmi dei migliori professionisti" rispose neutro, scalando marcia e imboccando il sentiero sterrato tra gli alti fusti.

Una risata amara scheggiò il silenzio, "Sei sparito."

"Non sono io quello che è sparito, Sum, sei stata tu ad avermi abbandonato" precisò senza astio. Come se quelle parole fossero una fluida constatazione e non il resoconto di un'amara verità.

"Lo sapevo che eri ancora arrabbiato" dichiarò soddisfatta tornando a guardarlo con accusa, "non è da te soprassedere. Non lo hai mai fatto."

"Lo sto facendo adesso" confutò rallentando l'andatura del veicolo, "sei qui. Ti sto rendendo partecipe della mia scoperta. Questo è il mio modo per dirti che sono andato oltre."

"Di che cosa si tratta?" domandò facendo scivolare una mano sul viso e tra i capelli con un gesto stanco.

"Abbiamo trovato dei resti umani, Sum, ho bisogno che tu mi dica di più."

"Dove?" incalzò con maggiore interesse.

Le loro personali diatribe avrebbero aspettato ancora.

"In una costruzione qui, in Amazzonia."

"Che tipo di costruzione?"

"Non lo sappiamo" confessò per nulla imbarazzato, "la stiamo riportando alla luce, ma ci vuole tempo."

"In quanti siamo?"

"Otto con te."

"Di nuovo?" sottolineò amareggiata, ma nella sua voce vibravano altri sentimenti contrastanti che lui non voleva decifrare.

"Te l'ho detto", replicò tranquillo, "solo i migliori."

La donna si massaggiò nuovamente il viso, ma questa volta con entrambe le mani, "Qualcuno che conosco?"

"No, ma sono in gamba", rispose parcheggiando la jeep nel solito spiazzo, "da qui proseguiremo a piedi."

"Chissà perché la cosa non mi sorprende" ironizzò scendendo e chiudendosi lo sportello alle spalle.

"Certe cose non cambiano mai!" le fece eco con un risolino tirato, prima di precederla durante la camminata.

Il percorso fu privo di insidie. Nessuna pioggia scrosciante o scossa tenebrosa, ma solo lievi fasci solari che filtravano tra le fronde rigogliose e illuminavano il passaggio.

Fu dopo un tempo inquantificabile che la donna lo fermò. "Dovremmo parlare."

"Non credo", chiuse l'argomento lui ancor prima di averlo aperto, "come ti ho detto prima, sono andato avanti."

"Non è vero e lo sappiamo entrambi" contestò accelerando il passo per afferrargli un braccio e fermarlo.

Pablo si volse a guardarla da sopra una spalla, con l'espressione seria di chi non vuole discutere.

"Non volevo che finisse in quel modo" tentò lei su quel silenzio carico di rancore.

"Già, immagino come ti abbiano costretta" la beffeggiò con una sferzata d'astio malamente trattenuto, che sembrò schiaffeggiarla in pieno viso.

La donna però non si scompose e seguitò, "Tu non capisci. Non ci hai neanche mai provato."

"Ora la colpa sarebbe mia?" la voce dell'archeologo suonò dura quando si volse per fronteggiarla e, allo stesso tempo, Summer si vide costretta a indietreggiare di un passo. Spinta da una forza invisibile, che era alimentata dall'amarezza dell'uomo.

"Io..."

"Ascoltami bene", la interruppe guardandola dritta negli occhi, mentre sentiva montare tutta la rabbia che in quegli anni aveva tenuto nascosta, "non voglio parlare del passato. Non voglio parlare di noi. Non voglio ricordare il male che mi hai fatto. Voglio solo andare avanti."

"Allora perché chiamare me?" ribatté alzando il tono, "Se non hai alcuna intenzione di..." quella volta si interruppe da sola e l'uomo ne approfittò per infierire.

"Di, cosa? Parlare? Perdonare? Cosa credevi che volessi da te?" si divincolò dalla presa illuminandosi con un ghigno beffardo, "Voglio essere chiaro con te, Sum, ti ho chiamata per dimostrarti che sbagliavi. Non cercare altre spiegazioni perché non ce ne sono. Ora sbrigati, dobbiamo arrivare prima che cali il buio."

Troncò ogni altro discorso mantenendo un'andatura veloce e un silenzio cupo.

Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di sapere che lui fosse ancora innamorato e perdutamente ferito.

Giunsero all'accampamento senza ulteriori soste, in silenzio e, dopo aver effettuato le dovute presentazioni tra i membri della squadra, l'accompagnò nella tenda epicentro dove le mostrò la scoperta e attese le sue prime impressioni. 


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