Capitolo 29

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Foresta Amazzonica, settembre 2042

Seduta ai piedi dell'alto fusto, con la schiena appoggiata a esso e le ginocchia raccolte al petto, Kate lo fissava dubbiosa, in attesa che Adam si confessasse e le cancellasse quell'amarezza che sentiva opprimerle il petto rendendole difficile respirare.

L'uomo, nel mentre, si prese tutto il tempo necessario per sederle accanto. Si muoveva cauto e in silenzio, un po' per non spaventarla e un po' perché ancora incerto nei movimenti.

Con notevole fatica le si fermò di fianco prima di trarre un profondo respiro e tentare di raccogliere le idee.

In quale modo avrebbe cominciato quella ammissione non gli era chiaro, ma era più che convinto di potersi fidare di lei. In realtà non ne era certo, ma aveva la disperata esigenza di cancellare dal suo viso quell'espressione spaventata, che lo aveva colpito in pieno petto alla stregua di un pugno.

Un pugno che sapeva sarebbe arrivato dal suo amico John, non appena gli avesse rivelato di aver parlato alla donna.

La verità però, e si sorprese nel constatarla, era che in quel momento non gli importava poi molto del proprio incarico e si stupì ancora di più, nello scorgere tanta superficialità verso la propria missione e verso i suoi doveri nei confronti della nazione.

Prese fiato un paio di volte prima di decidersi a parlare, sperando fermamente, di riuscire a dire tutto senza patire una sua reazione eccessiva.

Le donne erano esseri strani che ancora non comprendeva bene.

"Hai ragione", dichiarò fissando lo sguardo sulla corteccia dinanzi a lui, "al momento del terremoto, il reperto uno era nelle mie mani."

"Dimmi qualcosa che non so" ribatté la donna voltandosi a guardarlo.

Da quella posizione poteva scrutarne il profilo deciso, la mascella serrata e i muscoli evidentemente tesi, ma si convinse a non farsi scoraggiare. Le aveva promesso la verità e lei non si sarebbe accontentata con niente di meno.

"Non serve l'arroganza" protestò l'uomo girandosi verso di lei.

I loro volti erano vicinissimi, a separarli c'era solo la tensione che sembrava rarefare l'aria inghiottendo le emozioni.

"Non serve girarci intorno."

Gli occhi scuri di Adam guizzarono di fastidio e così la bocca che scattò verso l'alto con un movimento rabbioso.

Era intenzionato a parlarle, ma non gli piaceva quell'atteggiamento saccente e largamente superiore.

In fin dei conti lui non era un criminale. Lavorava per la legge e in qualche modo questo alleggeriva le sue colpe lavandogli la coscienza.

Valeva in guerra, quando le sue mani impugnavano armi da fuoco e si macchiavano del sangue straniero e valeva lì, in quella terra boschiva, quando quelle stesse mani facevano sparire dei reperti.

"Non usare questo tono", rincarò serio, "non accetto che mi si parli così", fece una pausa ad effetto e sottolineò avvicinandosi ancora e fissando da vicino quelle iridi chiare, "neanche da te."

"Scusa" mormorò l'archeologa sentendosi stranamente a disagio. Se fosse a causa di quello sguardo intenso o di quella inusuale vicinanza non le era chiaro, ma si sentì ugualmente sprofondare nel terreno. Come se una voragine la stesse inghiottendo confondendo le sue emozioni.

Adam fece un'altra lunga pausa, tornò a guardare la corteccia e nel frattempo tentava di capire perché gli risultasse così difficile essere arrabbiato con lei. Perché, in un modo o nell'altro, sembrava riuscisse a farlo sentire quasi in difetto.

Distant ImagesWhere stories live. Discover now