revenge.

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Il cellulare di Jimin vibrò nel bel mezzo della notte. Il biondo giurò a se stesso che se avesse letto ancora una volta il nome di Taehyung, avrebbe camminato dritto verso la sua villa con una mannaia in mano, pronto ad ucciderlo.
In realtà, si trattava di un numero non salvato fra i suoi contatti ad avergli mandato un messaggio, e il suo pensiero andò subito al rinnovo di una qualche tariffa telefonica.
Iniziò a leggere velocemente le parole, che gli apparivano confuse, forse per la stato di dormiveglia, forse perché il suo cervello si rifiutava di accettare cosa ci fosse effettivamente scritto. Jimin lo lesse una, due, tre, quattro volte. Improvvisamente sentì un freddo glaciale attraversargli le vene: il suo computer, le scritte, il blackout momentaneo. Non era un caso, non lo era per niente.
Provò a chiamare quel numero un centinaio di volte, sperando che fosse solo uno scherzo e che avesse capito male, ma nessuno rispondeva, continuava a squillare a vuoto, mentre Jimin si sentiva come se ci stesse cadendo, in quel vuoto. Passò le ultime ore restanti della notte a controllare se il suo computer desse segni di compromissione, ma nulla, sembrava intatto. Come diavolo è possibile?

Quando si fecero le otto del mattino, non riuscì più a trattenersi; indossò la prima cosa che trovò a portata di mano -e ciò comprendeva il suo maglioncino con un gatto disegnato sul davanti e un paio di jeans malandati che non indossava più da circa un anno e mezzo-. Scordò i suoi occhiali a casa per la fretta e lo realizzò solo dopo la corsa da casa sua verso la metro.
Per fortuna l'indirizzo che gli era arrivato sul cellulare non si trovava molto lontano dall'ufficio in cui lavorava, era un bene che conoscesse quelle strade come le sue tasche.
Una volta arrivato, non ebbe neanche il tempo di osservare in che razza di palazzo abitasse quell'idiota. Un grattacielo enorme; tappeti persiani e pareti di specchi nella hall lo distrassero dal suo obiettivo principale solo per un attimo. Poi, andò dritto verso l'ascensore, ammaccò il tasto dell'ultimo piano e attese con impazienza.
Il numero della porta era 143. Iniziò a bussare freneticamente, prima suonò al campanello, poi martellò con le nocche sul legno duro.
Quando finalmente la porta si aprì, rivelando un Min Yoongi in boxer, con un occhio mezzo chiuso a causa della troppa luce, Jimin sembrò dimenticare per qualche secondo cosa stesse facendo lì e per quale motivo Dio aveva deciso di punirlo in quel modo. Tutti i video della sera precedente gli passarono per la mente, e per poco non si lasciò andare ad un sospiro pietoso.
"Park Jimin, vedo che hai ricevuto il mio messaggio!" ah già, ecco perché era lì!
Jimin lo spinse facendolo barcollare all'indietro, quanto bastava per per potere entrare all'interno del suo appartamento, o meglio, attico.
"Dimmi subito di cosa stavi parlando in quel messaggio e spiegami come diavolo hai fatto ad avere il numero." puntò più volte il dito sul suo petto nudo, gli occhi che ardevano dalla rabbia. Yoongi sorrise beffardo, guardando il gattino sul maglioncino che stava indossando.
"Bel maglioncino."
"Rispondimi immediatamente!" la voce di Jimin si alzò di qualche ottava, quando lo spinse nuovamente, ma stavolta per le spalle. Yoongi, al solito, barcollò appena, ma si tenne la fronte, colpito da una forte emicrania probabilmente.
"Si può sapere chi è che urla in questo modo?" una voce familiare arrivò alle orecchie del ragazzo, distraendolo dalla figura del rapper. Si voltarono entrambi verso il divano, e Jimin diventò dello stesso colore del tappeto persiano giù nella hall: rosso fiammante, un po' per la rabbia, un po' per l'imbarazzo.
Quel tipo, Jungkook, era sul divano, si stava stiracchiando ad occhi chiusi, tranquillo e beato come una pasqua.
Il ragazzo dai capelli corvini davanti a Jimin si schiarì la voce, guardando verso la direzione del più piccolo. Quest'ultimo si decise finalmente ad aprire le palpebre. Un'espressione inizialmente confusa e in seguito terrorizzata si dipinse sul suo volto non appena poggiò gli occhi sul biondo.
"Oh Gesù." sussurrò alzandosi di fretta e scomparendo dietro la porta del bagno, raccogliendo durante il tragitto verso di esso i suoi vestiti. Ne uscì una manciata di minuti dopo, precipitandosi verso la porta del grande attico, congedandosi con un "ti chiamo più tardi" rivolto al rapper.

Backbite; taekook|yoonminWhere stories live. Discover now