Capitolo 3: Riflessioni di una notte senza stelle

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«E così sono caduto dalle scale.» Adrien terminò il suo racconto, scuotendo lentamente la testa.
Ladybug si tenne una mano sulle labbra per evitare di ridere a voce alta.
Erano passati due giorni dalla sua ultima visita, e la supereroina, quella volta, pur essendosi ripromessa di rincasare ad un orario conveniente, non aveva avuto il coraggio, la forza, né la voglia di andarsene, così era rimasta fino a notte fonda; non aveva la minima intenzione di tornare a casa sua fino all'indomani mattina.
In quel momento erano entrambi sdraiati a pancia in su sopra al letto di lui e, da quando lei era arrivata, non avevano fatto altro che parlare e parlare, raccontandosi aneddoti buffi, abbozzate lezioni di vita e sciocche barzellette che li avevano fatti ridere per il semplice fatto che fossero prive di fondamento.
La corvina pensò a quanto dovesse ritenersi fortunata: le era stata offerta la possibilità di stare accanto al ragazzo che aveva ammesso a se stessa di amare – sul suo letto, per giunta! – evitando di ridursi ad un brodo di giuggiole incapace di formare sentenze di senso compiuto senza prima balbettare parole inventate sul momento, e tutto ciò grazie alla divinità quantistica – ora intrappolata nei suoi orecchini – che le permetteva di assumere le sembianze dell'impavida paladina parigina.
Quel ragazzo era stupendo. Sia dentro che fuori, in effetti. Sì, era bellissimo esteticamente e, grazie a quei piccoli – per modo di dire – incontri, riusciva a lanciargli occhiate che coglievano ad ogni tentativo un nuovo particolare del suo viso e corpo. Il suo carattere, tuttavia, era ciò che più apprezzava ed amava incondizionatamente di lui. Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno che trascorreva con lui mostrava una sfaccettatura differente del suo modo di fare, di comportarsi, di essere lui. Aveva appreso che, quando il ragazzo si portava una mano alla nuca, si sentiva imbarazzato, che alzava lo sguardo al soffitto ed incrociava le braccia quando rifletteva su qualcosa, e che amava fare battute – anche orribili, effettivamente – che lo facevano apparire incredibilmente buffo.
N'era così follemente innamorata che spesso si sentiva intorpidita, intorno a lui. Ogni tanto le girava addirittura la testa, mentre una mandria di destrieri galoppava nel suo petto e uno sciame di farfalle creava un vortice incontrollato nel suo stomaco. Spesso si era ritrovata a mordersi il labbro per reprimere l'impulso di posargli un bacio sulla bocca, e a stringere le braccia intorno a sé per non abbracciare lui.
La semplice presenza di quel giovane adolescente era inebriante, e minacciava di annebbiarle i sensi, se lei avesse abbassato la guardia.
Ladybug scosse la testa per liberarla da quei pensieri – sebbene piacevoli – terribilmente confusionari. Spostò lo sguardo sul modello, che sbadigliò stancamente, contagiandola.
«Vuoi dormire?» mormorò la moretta, strofinandosi un occhio assonnato.
Vide come la sua espressione mutò per sembrare più sveglia e come lui cercò di negare la sua palese stanchezza, e sorrise quando, al suo cipiglio consapevole, ammise di sentire il sonno penetrargli nelle ossa.
«Vuoi che vada?» gli domandò a malincuore, sapendo di dover riservare il primo posto all'educazione.
«Stai scherzando?» lui la sorprese con una risposta repentina e quasi sconvolta. «Che razza di gentiluomo sarei se chiedessi ad una signorina di lasciare casa mia nel bel mezzo della notte?» recitò, il tono teatrale, ma sincero.
L'eroina in rosso ridacchiò piano. «La ringrazio per la sua gentilezza, monsieur.» avrebbe mimato una riverenza, se non fosse stata sdraiata sul letto.
L'osservò sorridere, mentre permetteva alle palpebre di occultare le sue iridi smeraldine. Era così dannatamente bello, e la sua espressione calma infondeva serenità, tepore ed un leggero sonno.
Ladybug non riuscì a trattenersi. Era perfettamente al corrente che fosse impossibile che Adrien si fosse già addormentato, ma lei non poteva aspettare. Lentamente, scivolò con delicatezza verso di lui e, senza esitare ulteriormente, si abbandonò alle sue braccia, premendosi contro il suo busto. Il bisogno di abbracciarlo l'aveva torturata per tutta la serata – forse addirittura più di quello che le urlava di lasciargli un bacio sulle labbra – e per una volta aveva lasciato campo libero al suo istinto. Si sentiva talmente piccola lì, contro di lui, ma percepiva di essere al sicuro... a casa. Dio, avrebbe sfidato chiunque a trovare sensazione più bella.
Il suo cuore fece un balzo di gioia e leggero imbarazzo quando lui circondò il suo corpo minuto con le braccia, stringendola dolcemente a sé, quasi avesse paura di spezzarla, mentre la lasciava libera di nascondere il viso sul suo petto statuario, caratteristica curiosa – ma prevedibile, per un ragazzo che praticava tutti quegli sport – se associata ad un giovane appena sedicenne. Chiuse definitivamente gli occhi, inalando profondamente il profumo dall'adolescente dalla chioma bionda e perdendosi nel calore delle sue forti braccia. Quell'odore era appena diventato il suo preferito in assoluto – e per superare quello dei dolci appena sfornati dal padre, doveva davvero essere meraviglioso. Tracciò delicati cerchi invisibili sulla schiena di Adrien, con aria rilassata ed assonnata, e lui sembrava gradire di gusto quei piccoli gesti. «Buonanotte, Adrien.» mormorò, abbandonandosi, finalmente, alla membrana del sonno di Morfeo, che accolse entrambi, ma le permise di sentire un sussurrato "'Notte, Ladybug", prima di avvolgerla completamente.

Call it what you want ~ Miraculous LadybugWhere stories live. Discover now