Capitolo 21: La tua voce

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Marinette doveva ammetterlo: le era mancato terribilmente stringersi tra le braccia di Adrien, a non fare altro che apprezzare la sua compagnia, accarezzargli i capelli ed ascoltare il suo respiro lento, tranquillo.
Continuava a ripensarci, mentre consumava la sua cena a base di pesce, nel ristorante lussuoso dell'hotel, in cui anche gli interruttori della luce sembravano avere un valore inestimabile. Durante il pasto, mentre ascoltava e interveniva con brevi aneddoti alle conversazioni che avevano luogo per il lungo tavolo imbandito, tra il tintinnio delle posate sui piatti, si scambiava occhiate sempre più frequenti, con il biondo, che sedeva accanto a Nino di fronte a lei. Ad ogni sguardo, abbassava gli occhi sul suo piatto, cercando di ignorare la sensazione di calore sul viso.
Ogni secondo che passava, si rendeva sempre più conto del fatto che quella situazione dovesse raggiungere la sua fine.
Non le interessava più del timore che lui potesse non ricambiare i suoi sentimenti – o perlomeno non al suo stesso modo – aveva bisogno di parlargli al più presto. Adrien doveva sapere ciò che le infuriava nella mente. Doveva sapere che, dietro a quelle occhiate, si nascondeva una brama ardente di gridare quelle due, maledette, parole.
Doveva sapere tutto.

Marinette si svegliò di soprassalto, lanciando un grido, a malapena soffocato da lei stessa. Attese qualche secondo, giusto il tempo di abituare le pupille al buio della notte, e riconobbe, nei suoi dintorni, la mobilia raffinata dell'hotel che avrebbe occupato fino alla mattina seguente, prima di fare il suo ritorno a Parigi, con i suoi compagni di classe. Si passò una mano in viso – il fiato corto – e notò immediatamente la sensazione umida delle lacrime che aveva versato durante la notte. Nella sua mente, erano ancora vivide le immagini di Ladybug che – pur tentando di sfuggire al controllo di Le Papillon – si abbandonava, con aria di resa, alle braccia del male. Girava per la capitale deserta, mentre il suo nemico le domandava l'identità di Chat Noir, al che lei cercava di evitare di muovere le labbra, che finirono nella morsa dei suoi denti più volte di quanto fosse mai successo. L'incubo continuava lento, inesorabile, fino a quando non le parve di scorgere una figura, tra le macerie di quella che, una volta, era l'allegra e luminosa Parigi, la città dell'amore. Una volta che fu abbastanza vicina, associò a quel ragazzo il nome di Adrien. Gli si fermò davanti quando lo scrutò più chiaramente, notando il suo volto pallido rigato di lacrime. Cercava di allungare una mano verso di lui, ma questi si allontanava, indietreggiando, come spaventato.
«Come hai potuto, Marinette?» le domandava, la voce rotta dai flebili singhiozzi. «Io mi fidavo.» concludeva, scuotendo la testa, come amareggiato a causa del suo comportamento.
Lei gli chiedeva spiegazioni, piangendo e pregandolo di lasciarsi toccare.
«Gliel'hai detto. Tu... tu gli hai rivelato la mia identità...» le confessava a quel punto lui, non badando alle lacrime che scorrevano, pesanti, sui suoi zigomi, cadendo sulla mascella e spezzandosi a terra. «Lui sta venendo a prendermi, adesso. E' tutta colpa tua.»
«Non è vero!» strillava lei, lasciandosi andare a quel pianto sofferto, straziante.
«Sei solo una vigliacca! Gliel'hai detto perché non ti facesse del male! Non t'importa niente di me, a nessuno importa!» urlava a tono il biondo, scuotendo veemente la testa. «Vattene, ti odio, ti odio con tutto me stesso!»
Marinette tornò alla realtà, premendosi una mano sulle labbra per non singhiozzare ad alta voce, e decise di uscire dalla stanza, in modo che le sue compagne non la udissero dar sfogo al dolore che le aveva provocato quel nefasto sogno.
Calciò via le coperte, alzandosi in piedi e – tenuto a bada il giramento di testa dovuto a quell'issarsi repentino – si diresse verso la porta, augurandosi di non aver svegliato né Alya, né Mylène, che dormivano nella sua stessa stanza. Così scossa dal suo incubo, tuttavia, non ebbe tempo di rendersi conto che la sua migliore amica non era presente.
Uscì dalla camera, serrando l'uscio dietro di sé e percorrendo pochi metri sulla moquette scarlatta dell'albergo, illuminata da qualche piccola lampada, accesa nel caso qualcuno avesse avuto bisogno di uscire dalla propria stanza per un qualsiasi motivo. Le lacrime annebbiarono la sua vista, e lei cercò di scacciarle, ma sentì di non sapere dove andare, così addossò la schiena ad una parete spoglia, se non per qualche riproduzione di quadri famosi, e scivolò a terra, stringendo le braccia attorno alle ginocchia, accostate al suo petto. Premette il viso sugli avambracci, rivivendo ogni attimo di quell'incubo, che l'aveva terrorizzata. Oltre al suo dovere di supereroina prudente ed attenta alle indicazioni, la giovane sapeva per certo di dover mantenere segreta la sua identità e di astenersi dal conoscere quella del partner perché, un giorno, sarebbe stato possibile che uno dei due cadesse nelle grinfie di Le Papillon – le era addirittura quasi successo, una volta, prima che madame Bustier venisse akumizzata al posto suo. Con la scoperta del segreto del suo collega, quella paura si era materializzata nel suo sonno, dando forma a quell'incubo.
«Marinette?» una voce la fece sobbalzare, ma non la smosse dalla sua posizione: non si sarebbe mai mostrata debole di fronte a qualcuno.
«Marinette! Che succede, non stai bene?» il tono era allarmato, ma manteneva una nota bassa, sicuramente per l'orario.
Sentì delle mani sulle sue braccia, che tentavano di spostarle, ma oppose resistenza. «N-no! Lasciami stare!» intimò a chiunque stesse cercando di parlarle a quattr'occhi, troppo orgogliosa per mostrare le sue lacrime.
Dopo lunghi minuti di strattoni e resistenza, la figura riuscì nel suo intento.
«Adrien...» mormorò lei, piano, una volta associata un'identità – o due, date le circostanze – all'insistente disturbatore notturno.
Lo vide curvare le sopracciglia in un cipiglio triste, una volta notata la sua espressione. «Ehi...» lo sentì mormorare, mentre le passava una mano in viso. «Che succede?»
La corvina indietreggiò, premendo la schiena contro il muro dietro di sé. «T-tu... tu mi odi?» domandò, tutto d'un fiato, piantando i denti sul labbro inferiore.
L'espressione accigliata del modello mutò in una perplessa. «Odiarti?» fece, sbattendo le palpebre. «Niente affatto! E' tutto il contrario, devi credermi.» le assicurò, carezzandole un braccio.
«Tu lo sai che io non ti farei mai del male, vero?» la mora gli si avvicinò di scatto, piantando le mani sulle sue spalle.
«Come?»
«Vero?» continuò Marinette, in preda ad un bisogno immenso di proteggere quel ragazzo da ogni male al mondo.
«Ma certo, Marinette. Che domande sono?»
Le lacrime tornarono prepotenti sulle guance della stilista, che ricominciò a singhiozzare. «T-ti prego... qualunque c-cosa accada... n-non perdere la fiducia in me... te lo chiedo per favore...» lo supplicò, riportandosi le mani sul viso, per soffocare i gemiti.
Sentì qualcosa di morbido toccare la sua fronte, ed un braccio agganciarsi sugli incavi delle sue ginocchia, mentre un altro la reggeva sulla schiena. «Lascerei la mia vita nelle tue mani.»
La giovane abbandonò le braccia intorno al collo di Adrien, ordinando a se stessa di smettere di piangere, ma ritrovandosi impossibilitata a farlo.
Si sentì trasportare da qualche parte, mentre ancora rifiutava di aprire gli occhi, e restò in ascolto. Il cigolio di una porta che si apriva, seguito dal lieve tonfo della chiusura di essa. Adrien la stava adagiando su qualcosa di morbido – un letto, suppose – ma, quando percepì la presa allentarsi, non fece che rafforzare la sua. «Ti prego, non lasciarmi...» fremette, scuotendo la testa.
Sentì una risata fievole, e venne riaccolta nel calore delle sue braccia, che le circondarono la vita, portandola contro al suo corpo tiepido. «E' andata bene che sono solo, in camera.»
Infatti, i ragazzi, essendo in numero inferiore rispetto alle ragazze, avevano avuto la possibilità di non dover condividere le camere – non ognuno di loro, perlomeno – con i compagni.
Marinette prese un paio di respiri profondi, dopo che le lacrime cessarono, e si tamponò il viso con una mano per attenuare il fastidio sulle sue guance. Sentì di essersi calmata quanto bastava per realizzare maggiormente gli ultimi avvenimenti, e si alzò di scatto. «Cielo, mi dispiace tanto!» sbottò, scuotendo la testa.
Portò gli occhi, ormai abituati all'oscurità, sul ragazzo coricato accanto a lei, e fu sorpresa da una risata fresca, cristallina.
Immediatamente, si sentì avvampare, sia al pensiero che si trovasse su un letto al fianco di Adrien Agreste – nei panni di Marinette, non quelli impavidi e coraggiosi di Ladybug – sia perché era stata lei a permettere a ciò di accadere.
«N-non ridere, sono seria!» gonfiò le guance cremisi, colpendo il biondo con un cuscino.
«Sei... sei troppo divertente!» gracchiò il modello, premendosi le mani sullo stomaco.
La moretta sbuffò, imbronciata, dandogli le spalle. Non trascorse molto tempo, prima che il ragazzo le picchiettasse la spalla con un dito.
«Non dirmi che ti sei offesa...» la punzecchiò, cantilenante.
Marinette non rispose, intenzionata più che mai a non darsi per vinta, ma dovette trattenersi dal trasalire, quando sentì il respiro caldo del sedicenne sull'orecchio. «Sei proprio una bambina.» lo sentì scherzare, al che sbuffò sonoramente.
Si voltò di scatto, ma non tenne conto delle misure e della posizione di Adrien che, non seppe mai come, finì per sovrastarle il corpo con il proprio.
Il cervello dell'aspirante fashion designer tentò di aggrapparsi alla fioca razionalità dispersa nei suoi meandri più oscuri, ma non ebbe successo, focalizzandosi solo su quelle labbra socchiuse, che sorvolavano di pochi centimetri – davvero pochissimi, per garantire alla ragione di farsi strada nei suoi pensieri – le sue.
«Mi dispiace per aver riso.» le giunse agli organi uditivi la voce bassa del biondo, che la tenne aggrappata alla realtà. «E per averti detto che sei una bambina.»
Sarebbe stato così sbagliato buttare lì un "Se mi baci adesso ti perdono ogni singola cosa che tu abbia fatto da quando sei nato"?
Magari non troppo, ma tale frase non scappò mai alle labbra dischiuse in attesa della moretta. «Sei perdonato.» si lasciò sfuggire.
Il giovane le sorrise nel buio, e le schioccò un lieve bacio sul naso, prima di spostarsi dal suo corpo e stendersi accanto a lei.
Qualche centimetro più in basso e avrebbe fatto in modo che quelle labbra non lasciassero mai più le sue. Si fece coraggio con un respiro e – esattamente come qualche mese prima – scivolò tra le sue braccia, percependo l'immancabile bisogno di sentirsi protetta, in un momento tanto fragile e delicato di quella nottata. Si sentì avvolgere in un abbraccio e, come sempre, sprofondò in quel dolce mare di emozioni, lasciandosi sfuggire un lieve sospiro. «Adrien...» sussurrò, al suo orecchio. «Posso chiederti una cosa?» domandò, fievole, ripensando alla richiesta che aveva il desiderio di porgli.
«Certo.»
«Ho bisogno... – un lieve sospiro per infondersi sicurezza, e continuò – ho bisogno di sentire la tua voce.» ammise, mordicchiandosi il labbro.
«La mia voce?» una domanda leggera si scontrò sulla sua pelle, al che rabbrividì.
«Per favore... puoi dirmi quello che vuoi, qualsiasi cosa ti passi per la mente, ne ho abbastanza del silenzio...»
Percepì le labbra del ragazzo cadere, soavi, sul suo collo, sentendosi arrossire. L'ultima volta che la sua bocca aveva toccato quel preciso lembo della sua pelle, non era finita affatto bene, perlomeno per i poveri capillari del suo collo. «Sapevi che, secondo gli studi, il pesce gatto ha circa duecentocinquantamila papille gustative?» la informò, staccando le labbra dalla loro precedente posizione.
«Davvero?» domandò lei, con una lieve risatina, che trovò la sua fine quando la bocca del ragazzo tornò all'attacco, con la stessa delicatezza del tocco di appena qualche secondo prima.
«Dicono anche che, in teoria, i siti d'incontri siano più sicuri dei comuni social media.» continuò Adrien, imperterrito.
Marinette sorrise, portandolo più vicino a sé e permettendogli di vezzeggiare il suo collo con lievi baci dal sapore casto. Era felice che lui avesse accolto la sua richiesta, perché era vero: a lei bastava unicamente sentire la sua voce per sapersi al sicuro.
«E che ci si innamori davvero solo due volte, nella propria vita.»
Quell'ultima sentenza la spiazzò, tanto che si sentì di sgranare gli occhi.
«Secondo te è strano, Marinette...» mormorò ancora Adrien, carezzandole dolcemente la schiena. «Che qualcuno possa innamorarsi due volte della stessa persona?»
«P-perché questa domanda?» pigolò Marinette, non sapendo davvero che risposta aspettarsi.
«Perché a me è successo.»


Mayura mi ha uccisa e resuscitata quindi per restare in mood godetevi altra Adrienette💖

Call it what you want ~ Miraculous LadybugWhere stories live. Discover now