16. Due molecole di idrogeno e due molecole di cloro

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Di nuovo sul retro della casa dei McLean, Blythe osserva la finestra già aperta della camera di Daisy. I due ragazzi si sono dati appuntamento per le tre e mezza e sono le tre e un quarto. Pare che entrambi non vedessero l'ora di incontrarsi: Blythe è uscito di casa molto prima rispetto a quanto avrebbe dovuto; mentre Daisy ha già, nonostante il freddo, aperto la finestra. Inoltre, come pattuito, Daisy ha sistemato una scala con tre pioli vicino alla pianta rampicante; Blythe deve solo aprirla e grazie a essa saltare sul tetto della casa. Una scalata molto più semplice, rispetto alla prima volta. Nel ripensarci, il ragazzo avverte un leggero formicolio alle mani che gli ricorda la superficie pruriginosa della pianta.

Prima di arrampicarsi sul tetto con tegole azzurre, Blythe si tasta sul petto: ha messo le pillole nella tasca interna della giacca di pelle, come la prima volta che le ha avute addosso. Non avrebbe voluto portarle con sé e cercare di rimandare ancora un po' la consegna, ma si è reso conto che ciò che gli conviene fare, proprio adesso che le cose sembrano andare bene, è guadagnarsi la fiducia di Daisy e non può farlo di certo facendola arrabbiare. Si è premunito, però, di togliere dal flaconcino una decina di capsule, sperando che la ragazza non se ne accorga.

Tira un respiro profondo e raggiunge la finestra della stanza di Daisy. Sbircia dentro prima di entrare, ma non gli pare di riuscire a vedere granché: è poco illuminato. Si mantiene all'anta di vetro con la mano destra e con l'altra comincia a sondare il terreno. Gli sembra di sentire il legno della scrivania, così, sicuro, ci appoggia il piede, ma qualcosa di indefinito lo fa scivolare e il buio non lo aiuta a riprendere l'equilibrio. Struscia gli anfibi su dei fogli e allunga un braccio all'indietro per ritrovare l'aggancio con la finestra, ma non riesce e muove le braccia come un uccello al suo primo volo.

«Blythe?» domanda Daisy, nella semi-ombra solo lo scintillare delle cerniere è visibile. «Blythe!» esclama la ragazza, prima di ritrovarsi schiacciata sotto il peso di Blythe.

Il ragazzo grugnisce per il dolore di aver risvegliato i lividi procuratogli da Matt; mentre Daisy pone entrambe le mani sul petto del ragazzo, quasi a volerlo mantenere.

I loro respiri sono così vicini e, anche se non possono vedersi in volto, entrambi deglutiscono per l'imbarazzo di quel momento. Daisy avverte il bacino di Blythe schiacciato sul suo; mentre Blythe, inavvertitamente, le sfiora il fianco sinistro.

Un risolino lascia le labbra rosee della cheerleader che, tuttavia, si sposta lateralmente, così da permettere a Blythe di lasciarsi andare steso sul letto. Si alza e, conoscendo a memoria la sua stanza, Daisy riesce ad arrivare a tentoni alla lampada sopra al comodino. Quando la luce illumina il volto di Blythe, la ragazza ride più forte.

Blythe ha il viso metà schiacciato sul materasso e l'espressione che ha è alquanto ridicola. Eppure, Daisy si porta una mano sulle labbra per impedirsi di continuare a ridere di lui: non gli sembra affatto bello, considerando che potrebbe essersi fatto male; ma in cuor suo non può non ammettere che sia molto divertente.

«Stai bene?» gli chiede, avvicinandosi.

Blythe si volta e resta con gli occhi puntati sul soffitto per qualche secondo, poi riprende a respirare e annuisce per tranquillizzare la ragazza.

«Bene» afferma lei.

Senza che possa aspettarselo, Daisy va a prendere sulla scrivania dei fogli e delle penne. Porge una penna blu a Blythe, mentre lei ne tiene una rossa; quindi sistema i fogli al centro del letto. Il ragazzo segue i suoi movimenti, curioso.

Vuole giocare a tris?

«Così possiamo parlare e capirci senza problemi, non trovi?» si spiega Daisy. Blythe è sorpreso di questo cambiamento d'umore della cheerleader, ma al tempo stesso è felice che abbia deciso di trovare questo metodo per comunicare in modo più semplice con lui, per cui concorda con un cenno affermativo del capo. «Perfetto. Anch'io voglio scrivere, così non ci saranno disparità.» La ragazza si rende conto, nell'esatto momento in cui pronuncia quella frase, di essere stata forse un po' scortese e si affretta a rettificare: «Cioè, non è che tu sia diverso, ma...»

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