42. Sonno profondo

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Karl, nascosto dietro la porta della stanza di Daisy, osserva Timothy che, insicuro, non sa quale mossa sia meglio fare, ma alla fine, mentre il ticchettio dell'orologio si fa sempre più inquietante, posa la carta sul materasso.

Daisy, con un sorriso sornione, lancia a sua volta la carta che ha scelto.

«No!» esclama lo psicologo, tirando indietro la testa e lanciando in aria le altre carte da gioco che ha tra le mani.

Daisy si porta una mano davanti alla bocca e trattiene così una risata. Karl sa quanto le piaccia giocare a carte con Timothy anche perché è sicura che lo psicologo non la stia facendo vincere: è un uomo a cui piace la competizione e non fa altro che chiedere rivincite su rivincite perché proprio non riesce a capire dove sbaglia. Almeno, è quello che pensa lui e che pensa faccia stare bene sua figlia giusto per quelle poche ore che sono insieme.

Ormai, è quasi un mese che Daisy è rinchiusa nella sua stanza, senza vedere nessun altro se non i suoi genitori e il suo terapista. La ripresa è più difficile di quanto avrebbero immaginato, ma per fortuna Daisy sembra stare meglio rispetto ai primi giorni: accende la lampada che c'è sulla scrivania e passa la maggior parte delle ore tranquilla e serena. Tuttavia, Timothy ha detto a Karl di essere preoccupato che possa avere una ricaduta e che vuole essere sicuro, prima di permetterle di andare a scuola o di incontrare altre persone, anche sconosciuti casuali al supermercato.

«Dovresti arrenderti al fatto che non vincerai mai.» Daisy lo schernisce e un cipiglio si forma sul volto di Timothy.

«Stai diventando troppo sfrontata, ragazzina» ribatte lui, strappandole un'altra risata.

«Disturbo?» Karl li richiama entrambi.

Timothy si alza dal letto e sua figlia si sistema meglio, le gambe incrociate e la coperta a coprirla dal freddo che avverte come effetto collaterale delle medicine che ha ripreso ad assumere da un paio di giorni. Daisy sta bene quando ne fa uso, ma proprio non sembra volerlo capire, considerando, anche, che Timothy ha scoperto che Daisy mentiva e che prima e durante il periodo passato in clinica a trovare i suoi amici le aveva smesse senza dire nulla né a lui né ai suoi genitori.

«No, vieni, stavo andando via» risponde Tim, stringendogli poi la mano.

«Come va?» chiede Karl a Daisy, poi le scocca un tenero bacio sulla fronte.

Daisy socchiude gli occhi a quel gesto e inarca d'istinto la schiena.

«Bene, direi» replica lo psicologo al posto suo, «visto che non ho vinto una sola partita.»

Karl sorride, spontaneo, e Daisy lo fa stringendo tra i denti il labbro inferiore.

«Noi McLean siamo dei vincenti nati, non avresti proprio dovuto iniziare a giocare.» Karl lo prende in giro a sua volta e allora allo psicologo non resta altro da fare che roteare gli occhi al cielo e togliere le tende.

«Ci vediamo domani!» esclama. «Non dimenticare la promessa, Daisy.»

«Quale promessa?» domanda curioso Karl, quando ormai Timothy è sparito dalla loro vista.

Daisy scrolla le spalle con noncuranza e si alza per andare a riporre le carte da gioco nel cassetto della scrivania. «Niente di importante, gli ho promesso che la prossima volta che giocheremo, se vincerà lui, lo accompagnerò al supermercato» chiarisce.

Karl, per un attimo, si pente dell'orgoglio dimostrato per il fatto che Daisy ha vinto tutte le partite contro Timothy e gli vengono in mente brutti pensieri contro lo psicologo, che non è riuscito a vincerne nemmeno una.

«Mh...» commenta. Vorrebbe aggiungere dell'altro, ma alla fine cambia idea e resta concentrato su ciò che ha da dirle: ha paura di non riuscire più a trovare il coraggio per farlo. «Sai, oggi ho visto James Valkut, è venuto in farmacia.»

Attraverso i tuoi occhiWhere stories live. Discover now