46. Miglioramenti

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Il cervello sta rispondendo bene. È la frase che il neurologo ha detto a Blythe alla sua ultima visita. Le cure stanno andando avanti nel migliore dei modi e grazie soprattutto all'aiuto e all'intervento di Karl McLean nella situazione, Blythe esegue esercizi neurologi che lo aiutano a stimolare quella parte sopita del suo cervello e questo è un gran successo. Ciò che non lo è che Blythe nonostante i miglioramenti a livello cognitivo non ne fa a livello vocale. Non una parola, nemmeno un suono che assomigli a una parola.

Il logopedista è soddisfatto del suo paziente, la psicologa e il neurologo anche, ma per il momento non si è ancora avuto modo di vedere cambiamenti.

A volte, nel cuore della notte, sua madre si sveglia per andare a sentire la voce del figlio, di quel ragazzino che non lo chiama "mamma" da moltissimo tempo; eppure non è mai stata fortunata ed è stata costretta a ritornare nella sua stanza senza quella piccola gioia che proverebbe a sentirgli pronunciare anche solo una lettera, una soltanto. Le basterebbe.

Blythe sa bene che tutti i sorrisi che gli rivolgono i genitori sono falsi, che non ne possono più e che muoiono dalla voglia di far tornare tutto alla normalità, ma non riesce a fare più di quanto già fa. Inoltre, si sta concentrando anche su un aspetto della vita che mai aveva provato: la relazione amorosa con un'altra persona.

Con Daisy tutto va a meraviglia: si vedono spesso a casa di entrambi per studiare, escono ogni sabato sera (perché di più non se la sente di forzarla) e quasi tutte le mattine la va a prendere sotto casa per andare a scuola insieme. I sorrisi che la ragazza gli regala quando sono da soli, anche per una semplice occhiata complice, lo fanno stare bene più di qualsiasi altra cosa, più della possibilità di tornare a parlare.

E sono proprio dei sorrisi spontanei che, ora, Daisy gli sta regalando.

«Andiamo, Blythe!» lo rimprovera lei, gli angoli della bocca inarcati all'insù. «Concentrati, dobbiamo elaborare la nostra formula, che è quella più difficile, tra l'altro!»

Blythe la smette di bombardarla con le palline di carta e si sistema dritto, composto sul divano di casa McLean. Hanno deciso di non restare in camera di Daisy e di avvalersi dell'ampio salotto così che l'enorme tappetto persiano possa ospitare tutti i fogli con le ricerche fatte dalla cheerleader e il computer portatile di Karl.

«Dai, aiutami» continua Daisy, alzando il viso verso di lui. Seduta a gambe incrociate sul tappeto, dà le spalle a Blythe. «Vieni qui.»

Il ragazzo segue la mano di Daisy che lo invita a sedersi accanto a lei e in un attimo scivola e il suo sedere tocca la superficie morbida e pelosa. Non riesce a fare quanto vorrebbe lei, però, perché la vicinanza con il suo corpo gli manda un brivido lungo la colonna vertebrale e la sua guancia così vicina alla sua aspetta solo di essere baciata. Allora lo fa, uno schiocco di labbra su quel tenero e liscio volto. Ma non gli basta e continua: un bacio ancora sulla gota, poi uno sotto l'orecchio e uno sul collo.

La pelle chiara di Daisy brucia sotto la sua bocca e a ogni bacio sembra salire sempre di più di temperatura, ancora e ancora.

Una mano va a insinuarsi nei suoi capelli biondi, mentre l'altra le racchiude il viso nel palmo e la costringe a voltarlo verso di lui per poterla baciare sulle labbra, quelle labbra tenere e carnose, rosse e strette tra i denti. Ci affonda piano, poi con più passione e i loro respiri si fondono, si completano; le lingue danzano e si scontrano e si lasciano, per poi riprendersi.

«Blythe...» sussurra lei, la voce tremante e il sospiro che invade il volto di Blythe. «Fe... fermo...»

Lei lo dice deglutendo e solo allora la guarda in viso e capisce: le imbarazza stare in casa sua, con i suoi genitori presenti, a baciarsi con il rischio che potrebbero vederli. Si è fatto trascinare dall'istinto, dalla passione e non ha riflettuto sul fatto che non può e non deve rischiare di minare la stabilità emotiva di Daisy, nemmeno con dei gesti che all'apparenza sono innocui. Molte volte la ragazza gli ha confessato di provare vergogna nel lasciarsi andare alle effusioni in pubblico o in luoghi in cui potrebbero vederli e adesso, preso dall'ardore, l'aveva rimosso.

Le lascia un piccolo bacio a fior di labbra per scusarsi e le sorride, comprensivo.

«Va tutto bene» lo rassicura lei. «Ci prendiamo una pausa, che ne dici? Vado a prendere qualcosa da bere.»

Non ha il tempo di replicare, che Daisy si è già alzata per andare a prendere una bibita in cucina. Segue i suoi movimenti sinuosi finché non la vede deviare a destra, invece che proseguire dritto, e poi non la scorge più.



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Daisy tira degli ampi respiri profondi e si porta una mano sul petto, accanto al cuore, mentre cerca di ristabilire il battito accelerato. Non è andata subito in cucina e si è diretta prima in bagno perché aveva bisogno di sciacquarsi il viso e di restare un momento da sola con i suoi pensieri.

Guarda la sua immagine riflessa e posa una mano sul viso arrossato; le pupille dei suoi occhi sono più grosse del solito e il nero sovrasta quasi del tutto l'azzurro. Però le viene da sorridere e le mani le tremano per quei sentimenti che sente esplodere nel petto.

Si passa dell'acqua fresca sulle guance e sul collo, mentre può ancora avvertire sul suo corpo i baci e il tocco di Blythe; poi soffia fuori le sue preoccupazioni ed esce dal bagno. È in procinto di andare in cucina per prendere una bibita gasata, quando dei bisbigli attirano la sua attenzione; provengono dallo studio di suo padre.

Cammina piano, a passo felpato per non farsi scoprire; accosta il viso alla porta e ascolta.

Inizialmente non riesce a carpire molto di ciò che i suoi genitori stanno dicendo, ma poi focalizza meglio l'attenzione e comprende che è di lei che stanno discutendo.

Aggrotta la fronte come se l'aiutasse a capire meglio quelle frasi ovattate che sta ascoltando. Le pare di aver sentito: "James vuole ridarmi i soldi" pronunciato da suo padre, ma poi non riesce a capire a cosa si riferisca. Un'altra frase, però, rende chiaro il concetto e lei non può credere alle sue orecchie: davvero suo padre ha prestato dei soldi a quello di Blythe per le cure e per altri problemi relativi alla salute del ragazzo e in cambio ha chiesto a Blythe di essere più presente nella sua vita?

Subito, un pensiero orribile le corre nella mente e non può far nulla per scacciarlo, perché più ci prova più quello si insinua con prepotenza tra le pareti della sua scatola cranica.

Blythe non è con lei perché lo voglia, ma perché suo padre ha un debito con Karl, perché glielo ha chiesto come favore personale per aiutare la figlia che non capisce e che, al contrario di Blythe, non fa progressi.

La rabbia le monta dentro e come un fiume in piena rompe gli argini della sua stabilità emotiva. Allora va dritta nel salotto ed evita di guardare negli occhi Blythe, mentre raccoglie tutti i fogli che ci sono a terra.

«Devi andare via» gli dice. «Non puoi più stare qui. Ho... ho da fare.»

Raccatta i fogli più velocemente che può e senza nemmeno curarsi di strapparli nel mentre. Blythe prova a metterle una mano sulla schiena per farla girare, ma lei scatta e lo inchioda con lo sguardo.

«Devi andare via.» Scandisce bene ogni parola e i suoi occhi sono fermi e lampeggiano di furia cieca. «Vai via» ripete.

E a quel punto Blythe se ne va, non prima, però, di averle dato un bacio veloce.





Mi sono ricordata per puro caso di dover pubblicare anche oggi! Ad ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vorrei sapere cosa pensate che accadrà adesso, visto che ci avviamo alla conclusione. 

A martedì (prossimo),

Mary <3 

Attraverso i tuoi occhiWhere stories live. Discover now