10. La loro storia

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"Eravamo appena entrati in possesso del sangue del primo mostro. Il mio ragazzo era praticamente impazzito e amalapena si accorgeva della mia presenza accanto a lui, quando stava studiando quel liquido, cosa che succedeva 23 ore su 24. 
«Mi puoi dire cosa stai facendo?» ma lui non mi rispondeva. «Dean? Dean!» 
«Oh, ciao Denise. Ti serve qualcosa?» disse mentre continuava a guardare libri e fogli pieni di parole e strani disegni. 
«Ma... Io sono qui da tre ore. Ti prego, facciamo qualcosa di divertente, adesso!» lo pregai cercando di distrarlo. 
«Ma Denise! Sto cercando una cura per le malattie ereditare, è una cosa molto importante e io sarò famososissimo quando riuscirò a trovarla.»
«Stai cercando una cura per diventare famoso? Pensavo lo facessi per curare i pazienti di tuo padre.» 
«Be', sì, anche per quello...» mormorò lui. 
«Senti, allora io vado. Quando ti stufi di giocare al "dottor pazzoide" mi trovi fuori da qui, ok?»

Passarono dei mesi e finalmente Dean riuscì a curare un ragazzo. Ero felice per lui, ma anche per me, perché significava che lui non sarebbe più rimasto nei laboratori e avrebbe ricominciato ad essere il ragazzo di cui mi ero innamorata. Almeno era quello che speravo...
«Denise, sai cosa mi ha detto mio padre? Che vuole che io continui gli studi per aiutare altre persone come Aaron!»
«Che cosa?» dissi distrutta. 
«Non sei contenta?»
«Se sono contenta? Ma mi prendi in giro? Basta Dean, questa pagliacciata finisce qui!»
«"Pagliacciata"? E' così che chiami salvare un bambino dalla morte?!»
«Oh, ma io non mi riferivo ad Aaron. Io mi riferivo a noi. E' finita.»
«Io pensavo che tu avresti capito! Era per il bene...»
«Sì, dimmi che sono egoista, ma tutto ciò che volevo era avere un ragazzo che mi porti fuori a cena e che tutte le sere mi dica quanto sono bella. Non chiedevo di più. Ma adesso tu devi occuparti di trasformare tutti i malati del mondo in mostri che la gente odierà per l'eternità! Non ti rendi conto che non è un'opzione per loro?! E' una maledizione, Dean! Io stessa preferirei morire che avere quelle zanne, quei occhi e quella pelle inumana che invece di far felice il paziente rimasto in vita, lo fa quasi rimpiangere di non essere morto.» 
«Stai dicendo stupidaggini! Chi preferirebbe morire pur di non avere dei piccoli difetti?» 
«No, non... Non capisci! "Piccoli difetti" sono avere 3 kilogrammi in più, essere dipendenti dall'alcool o non ricordarsi una lingua imparata poco tempo prima. Avere una coda o dei occhi di coniglio non è "un piccolo difetto", non è come una riga su un foglio immacolato, è come uno scarabocchio. Aaron non è più umano, e dovrà morire da... mostro.» lui mi guardò come se si rese solo ora conto di cosa avesse fatto. 
«Perché non me l'hai detto prima?» mi sussurrò. 
«.. Ero... innamorata di te, e volevo solo che il tuo sogno si avverasse, nonostante per Aaron il tuo sogno fosse il suo incubo.» presi la mia borsa e me ne andai. Uscì dal laboratorio e, innondata dalle lacrime cominciai a correre attraversando la strada, ma non mi accorsi dell'autobus che stava passando e così... mi investì. 
Mi ricordo solo quando mi rialzai, mi guardai allo specchio e cominciai a urlare. Ero terrorizzata del mio aspetto. L'aspetto che Dean mi aveva fatto avere. Erano passati 3 anni, in cui io ero rimasta in coma, e, dopo aver trovato il sangue perfetto per la mia situazione, Dean non esitò a iniettarmelo. 
Da allora lo odiai, anche se lui aveva sempre affermato di averlo fatto perché mi amava ancora. Così, per vendetta, cercai di far vedere a tutti che lui non stava facendo del bene, ma c'era un grosso problema: il mio aspetto. Per paura, le persone non si avvicinavano più a me, io cercai di sembrare più umana, ma non ci riuscivo. Avevo scoperto che Dean non aveva salvato solo bambini dalla morte, ma anche persone adulte, che però erano obbligate a vivere nei laboratori di suo padre. Un giorno vennero a prendere anche me, dicendo che sarebbe stato molto meglio così, e che mi sarei abituata a quella vita. Non riuscì ad oppormi, ma una volta rivisto l'ormai dottore Hunt, gli chiesi: 
«Quante sono le persone che hai trasformato in mostri?» lui, un po esitante disse: 
«Non lo so, non le conto.» 
«Dovresti farlo, perché da oggi in poi non avrai più tanto da "salvare".» feci scappare le poche persone dal laboratorio usando i miei poteri, e lui non mi fermò. Sentì gridarmi dietro solo: 
«Denise! Tu sei la numero 616!»"

Era la più strana storia che avevo mai sentito, ma in qualche modo riuscivo a capire che era la verità.
«Significa che... Che il dottor Hunt ha ricominciato a contare dall'inizio.» dissi come se stessi parlando fra me e me. 
«Esattamente.»
«Sai che numero sono io?»
«No, non proprio. Sarebbe un'impresa scoprirlo. Tu lo sai?» 
«Anche io sono la numero 616.» lei sgranò gli occhi, e anche se cercava di restare calma e misteriosa, vedevo la sorpresa nei suoi occhi. Cominciò a ridere senza sembrar di voler smettere. «Cosa c'è da ridere?» chiesi con freddezza. 
«E' buffo, tutto qua. Si dice che il numero 616 è un numero santo.» mi guardò mettendo la sigaretta sulla scrivania, mentre continuava a far uscire quel fumo disgustoso. Non sarebbe più sembrata una coincidenza se anche i nostri poteri sarebbero coincisi. 
«E qual'è il tuo potere?» lei mi sorrise intuendo quello che volevo scoprire. 
«L'illusione.» mi rispose mettendo il suo palmo sulla sigaretta. Quando lo tolse, la sigaretta non era più lì, ma fra le sue labbra. 

Paziente Nr. 616Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora