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Il largo e ripido sentiero costeggiato da maestosi baobab, conduceva fino alla bocca fumante; tutta la superficie del vulcano era ricoperta da piantagioni di diverso tipo: avena, orzo, mais, caffè, cacao e quant'altro. Centinaia di uomini e donne, fasciati in tuniche bianche e turbanti sgargianti, erano chini sul loro lembo di terra reso fertile dalle alte  concentrazione di minerali presenti nelle ceneri vulcaniche.

– È incredibile! – esclamai, ancora meravigliata.

Carter si lasciò sfuggire un sogghigno e mi afferrò la mano con dolcezza.

Impiegammo un paio d'ore abbondanti per raggiungere la cima; madidi di sudore, una volta arrivati ai maestosi cancelli di tufo, ci lasciammo cadere a terra.

– Farsi riconoscere, prego. – ordinò una voce attraverso un megafono.

Carter si tirò in piedi a fatica e disse: – Ribelli, villaggio numero "3".

Un breve cigolio e le porte si spalancarono.

La città, vista da vicino, era ancora più grande di quanto si potesse immaginare: decine e decine di palazzi circolari, neri e lucidi, si ergevano sul perimetro della bocca del vulcano avvolti in delle nubi di fumo. Dei pontili, sotto forma di tunnel in vetro, collegavano i palazzi ad un'enorme edificio di nera ossidiana posto al centro del cratere.

Il caldo era insopportabile, venimmo quindi subito condotti all'interno della sala principale di uno di quei palazzi perimetrali.

Lo sbalzo di temperatura, quasi mi face rabbrividire. Le pareti interne erano rivestite in marmo bianco, probabilmente proveniente dal villaggio numero "1". Un'unica e ampia finestra panoramica compiva il cerchio perfetto dell'edificio, aprendosi sull'entrata della galleria che conduceva al grande edificio centrale.

– Quello è il quartier generale del villaggio. – disse la guardia che ci faceva da guida – Noi lo chiamiamo "la Tartaruga".

Guardando meglio, mi resi conto che la struttura imitava alla perfezione il guscio di una tartaruga centenaria.

– Seguitemi. – continuò la guardia con un sorriso, divertito dalla mia espressione meravigliata.

Imboccammo l'ingresso e non potei fare a meno che guardare in basso. Mi muovevo lungo il corridoio trasparente, che non lasciava nascosto il benché minimo segreto; sembrava di camminare sull'aria, sembrava di volare.

In lontananza, in realtà non troppo in lontananza, vidi lo sgargiante rosso vivo della lava che ribolliva senza sosta. Ebbi un tuffo al cuore.

– Ma... ma cosa succede se decide di eruttare? – chiesi indicando il fondale.

– Beh, perderemmo tutti i campi agricoli. Sarebbe un disastro. – rispose la guardia continuando ad avanzare.

– Si, ma a tutto questo cosa succede? – domandai allargando le braccia.

– Assolutamente nulla.

– Come sarebbe a dire? – ero incredula.

– Quest'ossidiana, tutti gli edifici di questo villaggio, sono rivestiti di un composto impermeabile alla lava e ai particolari gas corrosivi. Credo che non esista luogo più sicuro del villaggio numero "8". – Concluse, lasciando che il petto gli si gonfiasse d'orgoglio.

– Incredibile. – ripetei meravigliata.

Guardai in basso per tutto il tempo, spinta da una certa attrazione che mi provocava un formicolio allo stomaco e un vago senso di vertigine, ma non ne avevo paura. Quasi rimasi delusa quando il percorso si concluse, e sotto i miei piedi riapparve il marmo bianco striato da sottili venature grigie.

Quando alzai gli occhi il mio cuore perse un battito.

All'enorme tavola circolare posta al centro della sala, erano seduti Jack, Piros, Liam e una donna sulla settantina con radi capelli bianchi che le scivolavano sulle spalle, fino a sfiorarle la vita.

– Voi cosa ci fate qui? – chiese Carter allarmato.

– Siamo stati attaccati. Il villaggio non esiste più. – rispose Jack, mantenendo la sua solita fermezza nella voce, dalla qualche però non poteva non trasparire una straziante nota di sofferenza.

– Come siete arrivati? – chiesi avvicinandomi.

– Con l'elicottero.

– Ma... ma tutti gli altri?

Michael. Michael, Michael, Michael.

– Tu-tu-tuo fratello sta bene. – rispose Piros – È in infermeria, ha perso un-un-una...

– Una? – lo incitai con ansia.

– Una gamba. – Concluse Jack, abbassando lo sguardo.

Mi lasciai cadere scompostamente su una sedia di ferro battuto, incapace di placare il ritmare violento del mio cuore.

– Dobbiamo fermarli. – disse Carter – Gli Assaltatori si stanno spingendo sempre più in là.

– Non sono stati gli Assaltatori. – rispose Jack scuotendo la testa, come se tentasse di cancellare dalla mente qualcosa di mostruoso.

– Hanno sterminato tutti. – intervenne Liam con rabbia.

– Chi? – chiesi.

Jack alzò lo sguardo e nelle sue pupille vidi allargarsi il terrore: – Erano Automi, sulla corazza portavano inciso il Byekorf.

NECTARWhere stories live. Discover now