EPILOGO

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Cinque anni dopo.

Beehive splende alla luce del sole primaverile. Nonostante il caldo sia asfissiante, i cittadini passeggiano felici con il sorriso dipinto sul viso.

Sono passati due anni dalla fine dei lavori di ristrutturazione e la città non potrebbe essere più bella. I quartieri poveri e l'Oltretomba ormai non esistono più, al loro posto sono state erette decine e decine di villette a schiera, andando ad occupare il posto che una volta era dall'orfanotrofio. Il nuovo Palazzo di Giustizia dalla forma ovale, che si trova al centro della città, non delimita più i quartieri di diversa estrazione sociale. Sotto il governo di Michael le cose non possono andare meglio. Jack, Piros e Dimitra rappresentano la più alta carica sotto quella del presidente, dal momento che, alla fine della battaglia, sono stati eletti come Consiglieri Scelti.

Nonostante il clima di generale allegria, c'è ancora qualcosa che mi tormenta. Qualcosa che non ho più avuto il coraggio di affrontare per paura di riaprire delle ferite che, nonostante il tempo, non smettono di sanguinare. Ma le cose stanno per cambiare definitivamente e non posso andarmene senza aver prima risolto la questione.

Sorpasso con decisione le guardie appostate al Palazzo di Giustizia, saluto le segretarie con un sorriso e mi dirigo verso le scale che portano nei sotterranei.

I tacchetti delle mie scarpe suonano contro la scalinata in marmo, che diventa sempre più umida e scivolosa ad ogni gradino.

La guardia di turno mi saluta con un complice cenno del capo e mi lascia passare oltre. Il buio corridoio roccioso è illuminato unicamente dalla torcia che tengo in mano. So perfettamente dove si trova la sua cella, è la stessa che mi era stata assegnata prima di essere bollata come Dissolta. Mi fermo davanti alle sbarre di metallo e punto la luce all'interno della prigione.

Calima è seduta con le gambe incrociate e la schiena poggiata contro la parete: – Alla fine sei venuta. – dice, con il tono di chi non ne può più – Ti ho aspettata ogni giorno, sai? Ho immaginato tutti i modi in cui saresti venuta ad uccidermi. Dimmi, quale hai scelto?

Non riesco a dire una parola. Ogni mio pensiero rimane bloccato nella gola che rischia di scoppiarmi in un grido di dolore. Lo sapevo che venire qui mi avrebbe fatto questo effetto, a certe cose non è possibile prepararsi. Continuo a fissarla senza dire una parola, sul suo volto segnato dal tormento, scorrono fugaci immagini di tutto quel che è successo. Se ho perso così tanto, se ho sofferto così tanto, una parte della colpa spetta a lei.

Calima sembra invecchiata di dieci anni: la pelle rovinata e cadente, gli occhi spenti e la voce rauca.

– Non mi sono pentita, se mai te lo fossi chiesto. Tutta la mia vita è stata concentrata intorno alla vendetta e, anche se alla fine sei arrivata tu, posso dire di averla portata a termine. Gli Assaltatori non esistono più. Mi basta questo, posso anche morire.

Non merita la morte, merita la sofferenza. Merita di restare chiusa in quella cella umida a logorarsi con il terrore di quello che potrei farle. So che, se decidessi di andarmene in questo istante, la condannerei allo strazio continuo. Ed otterrei la mia vendetta. Ma lascerei ancora aperto quel capitolo che non vedo l'ora di vedere concluso.

Sfilo la pistola da sotto la maglia, la carico con calma e gliela punto contro. Tiro un respiro profondo cercando di placare il martellare furioso del mio cuore.

Premo il grilletto.

È finita, neanche un urlo. Non ha voluto darmi quella soddisfazione. Sento il cuore alleggerirsi, la mente liberarsi e lo stomaco darmi finalmente una tregua. Posso ora smettere di martoriarmi con l'idea che quella donna tragga ancora respiro. È finita davvero. Ma, nonostante la liberazione, il dolore è ancora lì. Si muove dentro di me, scalcia, urla, graffia. Si nutre di me. E lo so, non andrà mai via completamente.

NECTARWhere stories live. Discover now