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– Sei molto scossa. – stava dicendo Calima – Non sai quello che dici.

– So benissimo quello che dico: gli Assaltatori si stanno muovendo nelle gallerie. – ribattei, infastidita dalla sua sfiducia.

La donna strinse le labbra in una linea sottile e si sforzò di sorridere – Hai detto tu di non essere sicura di quello che hai sentito.

– Ho detto che non sono riuscita a captare l'intera conversazione, ma che qualcuno si stia muovendo nelle gallerie è fuori da ogni dubbio!

– Se posso permettermi, – si intromise Carter – Dorian stesso ha confermato di essere a conoscenza della posizione delle nostre reti sotterranee.

– E perché mai dovrebbero approfittarne? Non mi risulta che, prima di scoprire i nostri sistemi, non ci abbiano mai attaccati. Non hanno bisogno di muoversi sotto copertura, sono Assaltatori!

Era vero, non ne avevano bisogno. Ma quelle Assaltatrici avevano detto proprio questo, avevano detto che qualcuno stava marciando nelle gallerie. Un motivo doveva esistere.

– Non sto mentendo. – precisai.

– Nessuno crede questo, cara. – Disse Calima posando la sua mano, dalle lunghe unghie smaltate, sulla mia spalla – Solo che sei molto confusa.

– Glielo ripeto, io so bene cosa ho...

– Cara, devi stare tranquilla: nessuno riuscirà mai a fare irruzione nel villaggio. Nessun altro posto è tanto sicuro come questo. – mi interruppe.

**********

Ritornammo a letto con nuove preoccupazioni e senza più il sonno che ci avrebbe accompagnato fino al mattino seguente, donandoci qualche ora di tregua.

– Hai ancora quella pessima sensazione? – chiese Carter.

– In realtà è sempre peggio. Cosa credi che accadrà?

Ci fu un istante di silenzio.

– Non so, ma nulla di buono. Dobbiamo trovare il modo di chiudere questa storia, non ne posso più del sangue. – rispose, in un debole bisbiglio.

Già, neanche io.

L'alba madreperlacea si dipinse presto aldilà delle grandi vetrate.

Carter era riuscito ad addormentarsi. Io, invece, avevo voglia di alzarmi e andare da Michel, avevo il bisogno di vederlo.

Strisciai silenziosamente fuori dalle coperte e, senza emettere il minimo rumore, sgattaiolai via dai dormitori comuni.

Quando arrivai, Michael si era appena svegliato.

– Ciao. – dissi, alzando una mano.

– Julia! Grazie a Dio sei tornata, ero terribilmente in ansia. – disse lui, facendo per alzarsi dal letto.

Fece scivolare da sotto la trapunta una gamba e poi il moncherino ormai perfettamente rimarginato.

– Ah, già! – Michael si batté un palmo contro la fronte, trattenendo una risata.

Afferrò la protesi appoggiata sul comodino e se l'agganciò.

– Ora va meglio! – annunciò, allungando la gamba per ammirarla con orgoglio.

Si tirò in piedi e mi venne incontro. Dall'ultima volta che lo avevo visto, era migliorato di molto. Ero certa che avesse passato la maggior parte del tempo ad esercitarsi.

Notò la mia espressione tristemente divertita e divvene subito serio: – Hai voglia di parlare? Voglio dire, so... so come sono andate le cose. So anche di Samshara.

Scossi la testa mantenendo il sorriso, nonostante avessi abbassato lo sguardo. Non avevo voglia di parlare, volevo solo passare del tempo con lui.

– Certo, lo immaginavo. Però voglio dirti una cosa: io ti conosco, sei più forte di quello che pensi. Non crollare.

Non è vero, pensai sei sempre stato tu quello forte.

Restai con lui finché non arrivò l'infermiera che, con non poca scortesia, mi invitò ad uscire.

Tornai dritta ai dormitori. Un istante prima di aprire la porta, mi tornò in mente un ricordo. Percorsi il corridoio fino alla fine, ritrovandomi davanti a quella porta blindata al quale non era possibile accedere. Feci pressione sulla maniglia e subito apparve la scritta lampeggiante che recitava "INTRUSO".

Rimasi un istante a fissarla, poi tornai veloce ai dormitori e mi rinfilai sotto la coperta accanto a Carter.

– È tutto apposto? – bisbigliò aprendo un occhio.

– Si, non preoccuparti. Torna a dormire.

Finalmente riuscii a prender sonno, ma sprofondai in un buio carico di incubi.

Sognai la mia pancia crescere a dismisura, come un palloncino, fino a scoppiare. Mi ritrovai tra le braccia un deforme bambino albino. Venni poi catapultata in una meravigliosa stanza luminosa che affacciava sul mare sconfinato; stavo allattando un meraviglioso bambino dai capelli scuri. In un attimo divenne tutto scuro, dalle pareti cominciò a colare sangue. Mio figlio era sparito, così come ogni abitante della terra. Il mio urlò squarciò il muro del suono, le montagne, fendendo perfino le nuvole.

Mi svegliai di colpo, madida di sudore. Decine di paia d'occhi mi stavano fissando.

– Era solo un incubo. – disse Carter, stringendomi la mano.

NECTARWhere stories live. Discover now