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I macchinari ai quali Michael era collegato, emettevano continui suoni elettronici.

Bip bip bip

Una volta entrata nella sua stanza, feci fatica a staccare gli occhi dal suo scavato viso dolorante. Dopo diversi istanti di indecisione, scorsi con lo sguardo il profilo della sua esile figura, nascosta sotto la sottile coperta azzurra. Le costole premevano contro la trapunta, la gamba destra terminava poco sopra l'altezza del ginocchio, punto nel quale il lenzuolo tornava ad abbassarsi fino a sfiorare il materasso.

Non so cosa provai, ma ricordo che sentii lo stomaco accartocciarsi su se stesso, proprio come fa un foglio di carta tra le fiamme.

Venni colta dall'impulso di staccarlo da tutti quei macchinari, prenderlo tra le braccia e scappare via il più in fretta possibile. Mi avvicinai lentamente, osservando le sue iridi muoversi al di sotto delle palpebre, chiuse da un sonno indotto dai farmaci.

– Starà bene. – disse una voce femminile, morbida e calda.

Feci un balzo all'indietro, colta di sorpresa.

– Non ha una gamba. – obiettai con durezza, indicandolo.

– Starà bene, credimi. Piros sta escogitando una soluzione. – ribadì con un sorriso.

La vecchia signora del giorno prima, era in piedi sulla porta vestita di un abito di lino chiaro, i lunghi capelli bianchi sciolti sulle spalle e le mani incrociate davanti al ventre.

– Sei arrabbiata. — disse, pacata.

– Lei è il capo del villaggio? – chiesi, ignorando l'affermazione.

La signora fece qualche passo nella mia direzione e mi porse la mano: – Sono Calima.

Allungai la mia, pronta a stringerla, ma venimmo interrotte da Carter. Arrivò in tutta fretta, con il fiato corto ed un sorriso tramortito stampato sulla faccia.

– Ci sono notizie di Samshara. – disse con un filo di voce a causa dello sforzo.

Samshara.

Mi ero completamente dimenticata di lei e di Kasius. O meglio, avevo pensato molto a loro nei giorni che erano seguiti alla nostra separazione, ma una volta saputo di Michael e del villaggio avevo completamente cancellato dalla mente il loro pensiero. Una fitta di rimorso mi si irradiò nel costato.

– Sono riusciti ad arrivare al villaggio "1". Stanno bene, Samshara si sta riprendendo ma se l'è vista brutta. – disse, lasciandosi sfuggire un risolino di sollievo.

– Grazie a Dio! – esclamai sentendomi alleggerire di qualche grammo.

Carter mi abbracciò con foga e mi alzò in aria. Dopo un paio di giravolte, mi riappoggiò a terra e si diresse verso Calima. La vecchia signora rimase piacevolmente stupita quando lui le stampò un sonoro bacio sulla guancia.

In quell'unico istante di allegria che ci fu regalato dopo fin troppo tempo, a portarci di nuovo alla realtà fu il suono elettronico dei macchinari ai quali era collegato Michael.

Il suo cuore batteva più velocemente e, una volta più vicina, potei notare le sue palpebre lievemente alzate.

È sveglio!

– Michael, come stai? – sussurrai stringendoli una mano.

Dalla bocca gli uscì un rantolo, nello sforzo di proferire parola.

– Non parlare, riposati. Qui dicono tutti che ti riprenderai!

Non feci in tempo a finire la frase, che mio fratello era già ripiombato nel sonno.

– Dovremmo riposare anche noi. – mi bisbigliò Carter nell'orecchio.

– E perché mai? Io devo restare qui accanto a lui. – mi imposi.

– Beh ecco, domani dobbiamo rimetterci in viaggio... – dal tono della sua voce, capii che desiderava con tutto il cuore che le cose stessero in maniera diversa.

Lasciai delicatamente la mano di Michael e mi avvicinai all'ingresso.

– Hai ragione. – dissi voltandomi appena – Andiamo?

Ero decisa, sarei andata avanti. Avrei combattuto e una volta finito tutto quanto, sarei tornata a casa.

Ma qual era la mia casa?

NECTARWhere stories live. Discover now