CINA (Stagione 2007): Disastro in pitlane

272 13 6
                                    

C'erano giorni in cui la storia si scriveva da sola. Una settimana prima, dopo il gran premio del Fuji, la trama dell'evento a venire era stata delineata. Quel giorno poteva essere proclamato il più giovane campione del mondo della storia della Formula 1, nella sua stagione di debutto. Doveva solo vincere la gara, dove quel "solo" non era niente di più né niente di meno di quello che ci si aspettava da lui. E lui, il giovane Lewis Hamilton, rivelazione del mondiale 2007, era in testa anche a Shanghai, con la possibilità di mettere la parola fine con un gran premio d'anticipo allo scontro epocale che si era innescato in quella stagione all'interno del box della McLaren.

Un muro immaginario divideva i due principali contendenti al titolo, un muro divideva anche Fernando Alonso da tutto il resto della squadra. Se ne sarebbe andato a cercare fortuna altrove, nella stagione a venire, ma a Lewis non importava. Alonso o chiunque altro non avrebbe cambiato la sua sete di vittoria, non dopo quello che era accaduto da marzo fino a quel momento. In più, nel 2008, sarebbe stato più maturo e più sicuro di sé, forse con un numero 1 sulla vettura.

I suoi sogni stavano giungendo a realizzazione, ma il meteo non era a favore. Aveva smesso di piovere, la pista si stava asciugando, i tempi sulle sue gomme da bagnato iniziavano a crollare. Una sagoma rossa si faceva largo nei suoi specchietti, Kimi Raikkonen, ancora aritmeticamente in lotta per il mondiale, ma alla ricerca di un miracolo per vincerlo.

Anzi, no, Raikkonen non cercava niente, probabilmente stava vivendo alla giornata e si sentiva come uno che non ha nulla da perdere. Lewis tentò di opporre resistenza, ma con quelle gomme non poteva farcela. Lo vide andare via e a quel punto la situazione peggiorò: il prossimo a farsi sotto sarebbe stato Fernando, il suo nemico giurato, quello che voleva andare via da Woking portando il numero 1 con sé, oppure facendolo sparire. In un qualche momento, settimane prima, aveva affermato che, dopo avere vinto il suo terzo mondiale, sarebbe andato alla ricerca di altre sfide.

In quel momento stava recuperando tanto, si trattava di vari secondi ogni giro. In più c'erano dei doppiati che si facevano largo, sdoppiandosi.

Dodici secondi in tre giri: i doppiati non importavano, erano soltanto lì a fare da contorno a quella che doveva essere la sua scalata verso il successo.

Alonso non l'aveva ancora raggiunto, quando Lewis rientrò, con la speranza di potere essere davanti una volta che anche il suo compagno di squadra si fosse fermato. Bastava arrivare davanti a Fernando per vincere il mondiale con una gara d'anticipo, anche se significava lasciare andare via Raikkonen e permettere al ferrarista di portare a casa quella vittoria.

Era tutto relativamente facile, forse troppo, realizzò nel momento in cui si arenava nella sabbia della corsia dei box.

Per quel giorno era finita. Non ci sarebbero state gru a ripescarlo e a rimetterlo in strada, non ci sarebbe stato un titolo mondiale ad attenderlo, anche se il campionato poteva ancora essere conquistato due settimane più tardi a Interlagos.

Mentre scendeva dalla monoposto gli sembrava già di sentire le critiche della gente e il loro sentenziare, senza mezzi termini: «Gli era andato tutto bene, finora, ma prima o poi la sorte doveva girarsi dall'altra parte e le cose dovevano iniziare ad andare male.»

Più tardi, sul monitor, vide Raikkonen e Alonso rientrare per la loro ultima sosta e accodarsi alla BMW Sauber di Kubica. Gli venne spontaneo incrociare le dita: se Robert fosse arrivato davanti a loro, il gap in classifica con i diretti avversari sarebbe stato maggiore.

Non ebbe nemmeno quella soddisfazione: la BMW si fermò, pochi giri più tardi, a lato della pista, emanando fumo. Le speranze del team elvetico con motorizzazione tedesca si erano infrante ancora prima di farsi sentire.

Le Cronache dei VetteltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora