Il sogno

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-Svegliati Sheryl, se devi proprio morire vorrei che fosse per mano mia.-

Chi parla?

Vedo solo una luce fioca che fluttua tra i miei occhi. Non posso dire per certo se riesco a vedere il mio corpo, né dove mi trovo, ma riesco a scorgere una figura elegante e con le mani in tasca che mi osserva.

-Sheryl, non lo senti? Perché il tuo cuore batte più velocemente quando senti la mia voce?-

Silenzio!

-Pochi secondi e aprirai gli occhi!-

Continua a suonarmi in testa, con tono giocoso...quasi provocante.
Gradualmente, il mio corpo inizia a riacquistare sensibilità.
Mi hanno già operata?

È ancora troppo presto, dimmi cosa succede. Cosa significava quella cartolina a mio padre?!

-3...2...-

Aspetta!

-...1-

////

Sbatto più volte le palpebre prima di riuscire ad aprire almeno a metà gli occhi. Sento delle voci, sembrano in lontananza ma poi mi rendo conto che la loro fonte si trova proprio vicino a me.
Quando si accorgono della mia ripresa di coscienza, stanno per pronunciare il mio nome e accertarsi del mio stato di salute, senza valutare il fatto che io fossi ancora confusa.

Non sono in grado di distinguere se ciò che ho visto prima sia frutto della mia mente o la figura che adesso si sta avvicinando verso di me sia il mio peggior nemico.

-Moriarty...?-

Per un attimo sento che i miei arti abbiano iniziato a muoversi in modo meccanico, istinto di sopravvivenza suppongo.
Afferro una siringa poggiata accanto al mio letto a la punto al collo di questo soggetto misterioso, che stavo tenendo per il colletto della camicia.

-Sheryl calmati! Siamo noi, va tutto bene.-
Sgrano per un'ultima volta gli occhi e capisco di star puntando una siringa al collo di mio padre Sherlock, mentre l'altro genitore si preoccupava di riportarmi nel mondo reale.
La getto via e mi metto a sedere, massaggiandomi la testa dolorante.
-Mi dispiace...io...-
John si siede a sua volta e assume un'espressione che trasmette sicurezza e protezione, poi mi afferra la mano che non smetteva di tremare.
-Ti hanno sparato, vicino ai binari. Ricordi?-
-Si...adesso ricordo.-
-Perché hai detto quel nome, "Moriarty"?-
Sherlock inclina leggermente la testa su un lato, lo fa spesso quando è confuso.
-È stato solo un brutto sogno, avrò ripensato a quella cartolina.-

Passo circa mezz'ora insieme a loro. Sono ancora scossi per l'accaduto e di tanto in tanto Sherlock fissa il vuoto, com'è solito fare quando riflette.
È chiaramente nervoso perché non sa come agire, ma John capisce la situazione e va verso di lui abbracciandolo da dietro, trasmettendogli tutto l'amore e il supporto che può.
In famiglia è sempre riuscito ad offrire protezione nei momenti critici. Anche se non voleva che si sapesse, Sherlock è molto emotivo ed ha bisogno di lui per calmarsi e riprendere il controllo.

Il rumore della porta che si spalanca elimina ogni traccia di intimità che c'è stata fino a quel momento, infatti i due coniugi si allontanano e tossiscono con imbarazzo.
-Grazie al cielo. Cosa è successo?-
Greg tira un sospiro di sollievo e si aspetta una risposta, che continua a non arrivare.
-Allora? Eravate lì giusto?-
-Greg siamo sotto shock! I nostri ricordi sono confusi!- Intervengo io, facendo roteare gli occhi dell'ispettore che doveva avere a che fare con uno Sherlock in miniatura.
Mi ricordo perfettamente le parole di quell'uomo mentre io stavo perdendo sangue a terra, non dovevamo fare in modo che la polizia arrivasse a lui.
-Ne riparleremo quando vi sarete tranquillizzati.-
Mi fa un segno di "ti tengo d'occhio" sorridendo e decide di lasciarci di nuovo soli.

Il mio noioso ricovero durò pochi giorni, la ferita era meno grave di quanto pensavamo. Nonostante ciò ho ricevuto visite di mezza Londra, non potendo così trovare un momento di silenzio.
Finalmente, insieme ad un tutore al braccio, posso abbandonare l'ospedale, il nostro piccolo appartamento di Baker Street mi è sembrato molto più bello dopo essere stata rinchiusa in quattro mura squallide.

Come mi aspettavo, la signora Hudson mi ha fatto trovare una merenda con i fiocchi al mio ritorno che non ho potuto rifiutare. Nel mentre Bobo sotto il tavolo sperava di ricevere anche lui qualche biscotto.
-A proposito...- Mi ricordo solo adesso della gita, nei giorni precedenti non sono riuscita a non pensare a quel sogno.
Lascio la frase in sospeso, catturando l'attenzione di John che stava leggendo un giornale.
-Ci sarà una gita a Leeds di tre giorni.-
-Non ti sono mai interessate queste cose.-
Mi fa notare. In effetti non sono mai partita con la scuola, solo io posso sapere che questa volta è diverso.
-Lo so, ma voglio provare qualcosa di nuovo.-
-Solo se la tua spalla sarà guarita.-
Rispondo con un sorriso a trentadue denti.

Ho dovuto per forza distrarmi prima della partenza e Noah è riuscito a darmi un aiuto. Ogni giorno mi offriva un nuovo caso, sventolando quella miriade di giornali appena prendevo posto a prima ora.
Oggi però è arrivato prima del solito e mi ha bloccato mentre stavo per fare il mio ingresso a scuola.
-Devi vedere cosa è successo nel bar sotto casa mia!-
-Adesso?- Gli domando, indicando il cancello principale.
-Subito!-
Abbandono il mio dovere da studentessa e seguo il mio assistente che si ostina a camminare velocemente, nonostante il suo fiato mi fa capire che abbia bisogno di riposarsi.
-Tu devi essere Sheryl Watson, Noah è un nostro amico- Stringo la mano al proprietario del bar e ci dirigiamo in una sala isolata per parlare in tranquillità.
-Ieri notte, prima di chiudere, ho deciso di bere qualcosa. Ricordo solo questo, non so chi dei miei dipendenti mi abbia portato da bere. Sono svenuto nonostante avessi assaggiato un goccio e sono sparite le chiavi per entrare nel mio ufficio. Lì ci sono le registrazioni delle telecamere di sicurezza.-
Senza dire una parola, mi alzo e vado dai dipendenti.

Un ragazzo che si è lasciato da poco, una donna con due cani ed un cardiopatico che vive con la madre.
Al primo indagato tremano le mani, ma è per il vizio del fumo. A causa della sua relazione finita deve aver bisogno di fumare di più.
La seconda sembra farsi gli affari suoi, come se la cosa non le riguardasse. Pulisce il bancone e si lascia osservare senza nascondere nulla.
Il terzo non è sicuramente capace di una cosa del genere. La sua biancheria è stirata con cura dalla madre, non le darebbe questo dispiacere.

Aspetta un attimo...

-Per quanto tempo e dove è svenuto?- Chiedo sussurrando al proprietario. -Circa mezz'ora, nella sala in cui ci siamo incontrati.-
Com'è possibile che nessuno se ne sia accorto? Mentre ci ha esposto il caso, ho notato che quel luogo viene pulito regolarmente quindi qualcuno deve essere passato di lì.
Afferro il mio assistente per un braccio e lo trascino dove nessuno poteva ascoltarci.
-Hai capito chi è stato?-
-Siamo alle solite, Noah. Tu guardi ma non osservi.
Il tuo amico è un bugiardo!-

Daughter of a genius | ✒Where stories live. Discover now