37. Home

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Fu strano vederlo rannicchiato sul piccolo palco del Tetch. Sapevo che fosse il Tetch soltanto per una sensazione, sebbene non lo sembrasse affatto, eccetto sotto alcuni punti di vista. Ad esempio, il colore sempre così tetro e mai potentemente illuminato, o il pavimento in legno rossastro e ricoperto da venature ramificate. La sala però era differente: più piccola, meno dispersiva. 

Lui era lì, in mezzo al palco, e mi guardava. Ed io guardavo le sue iridi verdi come unica fonte d'energia in grado d'illuminare l'intera scena. Non faceva né freddo né caldo, era tutto abbastanza sfocato e scomposto e non ero neanche certa di trovarmi effettivamente lì. Eppure c'era lui e stava fissando me... o almeno così mi suggerivano i miei occhi. 

Una melodia suonava in sottofondo e creava un'atmosfera magica, surreale, psichedelica. 

"Home, home, home, where is home?"


Mi avvicinai silenziosamente, quasi sfiorando il suolo, come un fantasma, e sul suo viso nebuloso apparve un nitido sorriso.

"Just smile at me and I will see the road that leads me to my home."


Percepivo sempre uno strano formicolio alle dita e nel petto. Poi apparve un ciuffo rosso e la mia mente lo collegò istantaneamente a Ed, nonostante non riuscissi a vedere il suo volto. Salì sul palco anche lui e scansò l'altro in un angolo, mentre questo proseguiva a sorridermi, come a confortarmi o a istigarmi a fare qualcosa. Un qualcosa che dovevo scoprire io stessa, probabilmente.

Mi ritrovai al centro della stanza. Davanti a me Ed prese una chitarra scordata e iniziò a suonarla, sfumando di colori differenti le tegole del parquet e le pareti tenebrose. Ma le mie orecchie ascoltavano un solo suono e non proveniva da quello strumento. Non proveniva da nessuna parte, in effetti. Non c'erano casse, non c'erano microfoni, non c'erano nemmeno finestre. Eravamo tutti sigillati in quella stanzetta minuscola.

Soltanto alla fine vidi i due occhi verdi di fronte al mio viso, sempre se ne avevo uno — mi sentivo un'anima fluttuante ed era una sensazione liberatoria, perché non mi sentivo né osservata, né presente. Mi prese le mani, o quelle che sentivo fossero le mani, e all'improvviso nacque un calore da quel contatto invisibile e irreale, che prese piede per tutto il mio corpo. O la mia anima. 

"Could you please show me from where you have come?"


Harry, perché mi stai tenendo le braccia?, volevo dirgli, ma la mia voce non riusciva a strapparsi dalle corde vocali. 

Dunque capii che quella melodia aveva una sola origine: la mia testa. 

Certo Paige, viene da lì la tua voce, non lo avevi ancora capito?

Lo guardai attonita, anche se non ero sicura che la mia parvenza di viso potesse esprimere emozioni agli altri.

Scorsi le sue labbra e ripensai a quando mi era permesso baciarle, un tempo passato e totalmente diverso. Poi rammentai le sensazioni che si annodavano nel mio stomaco mentre le baciavo. 

Ed ecco che in quel momento compresi esattamente ciò che sentivo ardere nel petto: erano le stesse sensazioni così potenti, così travolgenti... 

"Because that will be my home"

***

Mi svegliai nel cuore della notte con il petto scosso dai battiti che non avevano ritmo, erano fuori controllo. Mi tirai su nel letto e passai una mano fra i capelli spettinati e leggermente umidi per il sudore che mi bagnava la fronte. Sospirai e decisi di scacciare via il pensiero di quel sogno alzandomi. Accesi la lampada e questa diffuse una luce fioca e traballante, che mi permise di vedere dove mettevo i piedi. Raggiunsi la valigia mezza vuota e frugai nelle tasche in cerca della valeriana, che almeno, pensai, avrebbe potuto calmarmi. Cercai, cercai, rovistai e, a un certo punto, le mie mani toccarono un foglio ruvido, posto sul fondo della valigia. Lo tirai fuori e capii all'istante cosa fosse.

BraveWhere stories live. Discover now