28. Abat-jour

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Dalla sera in cui mossi i miei primi passi, fu tutto dannatamente difficile, ma estremamente gratificante.

Tenemmo i medici all'oscuro dei miei progressi, concordando di metterli davanti soltanto al fatto compiuto.

Avevamo oramai la pellaccia, e sapevamo quale fosse il modo corretto di infrangere le regole.

Cominciai a vedere la luce fuori dal tunnel, e fu tutto merito di Katsuki.

Non lo avevo mai visto così stanco.
La sua riammissione alla UA lo ancorò nuovamente ai suoi doveri, e insieme a Todoroki dovette riprendere a faticare per l'esame di recupero della licenza provvisoria.

La mattina a scuola, di notte con me. Non saltò nemmeno un giorno. Nemmeno uno.

Correva come un pazzo per raggiungermi il più in fretta possibile, una volta finiti gli allenamenti, ed anche se tentasse di stare sveglio crollava in poco tempo come un bambino sul lettino dell'ospedale, al mio fianco.
Oramai eravamo abituati a restare stretti in un posto troppo piccolo per due persone.

In me si fece in poco tempo largo l'idea che avrei dovuto impegnarmi al massimo per uscire da quel maledetto ospedale, e finalmente liberare Bakugo da quella galera. Non mi capacitai del motivo per il quale quel biondo stesse dando l'anima e il cuore per me.

Supposi che si sentisse in colpa nei miei confronti, a causa della maledetta lettera che avevo deciso di infilargli sotto la porta quel maledetto giorno. Non avrei mai dovuto scriverla.

Giurai a me stesso che, una volta messo piede fuori da quel cazzo di ospedale, avrei sciolto Bakugo da ogni catena, allontanandomi definitivamente da lui.

Avrebbe fatto un male cane, ed io lo sapevo.
Ma avrei potuto anche sopportarlo, dopotutto.
Glielo dovevo.

Katsuki era uno spirito libero, e quella vita non faceva proprio per lui.
Aveva bisogno di stare bene, di riprendere con la sua routine, e di staccarsi definitivamente da me.

Io l'amavo, e lui mi voleva bene. Non avevo alcun diritto di tenerlo intrappolato in un equivoco più grosso di lui, più grosso di me, soltanto per puro egoismo.

Ci saremmo fatti del male entrambi, ed io volevo evitare di aggiungere ancora peso sulle spalle di quell'Angelo biondo, al quale dovevo decisamente molto più di ciò che si può spiegare a parole.

Bakugo meritava la luce. Ed io gli avrei lasciato tutto lo spazio necessario per riuscire a trovarla.

Anche io, in ogni caso, durante il giorno ebbi il mio gran da fare.
I miei amici si premurarono di portarmi, tutti i pomeriggi, gli appunti delle lezioni, che io recuperai senza nemmeno faticare troppo.
Le visite, le cure, la fisioterapia mi estenuarono, ma io in poco tempo mi sentii pronto per ricominciare.

Avrei potuto ancora aspirare a diventare l'eroe più virile del mondo. L'allievo di Crimson Riot.

Ancora faticavo a credere a quella storia. Una favola, oserei definirla.

Nel giro di una settimana avevo quasi recuperato al 100% la mia mobilità, e iniziai a spendere del tempo a pensare a come avrei potuto ringraziare tutte le persone che mi erano rimaste accanto in quell'arco di tempo.

Quel periodo buio fu di vitale importanza per me.
Soltanto allora mi resi conto di quante persone tenessero alla mia pellaccia tosta.

Ero oramai diventato famoso in tutta la UA, come rispettivamente 'Il Rosso che ha fatto piangere persino  Aizawa'. Fu Mina a raccontarmelo, la più esperta ed informata cornacchia della scuola.

Iniziai lentamente anche ad utilizzare il quirk, badando bene a tenere chiunque all'oscuro della mia trasgressione.
Se mi avessero scoperto, sarei finito sorvegliato a vista. E così addio al sogno di poter tornare a scuola in tempo per mercoledì, il giorno dell'esame di Bakugo e Todoroki.

A voce bassa - Kiribaku/BakushimaWhere stories live. Discover now