Scusa se ho preso la tua maglietta. Aveva il tuo profumo; Max Verstappen

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Dedicata a sugar9403

Trascorrevano i giorni, io e Max continuavamo a vederci all'insaputa di Charles, che era prossimo a tornare dal suo viaggio di lavoro. Ero fortemente combattuta: da un lato mi sentivo davvero male, perché stavo tradendo il ragazzo che mi era sempre stato accanto, dall'altro ero convinta di ciò che stavo facendo. Avevo desiderato a lungo di poter avere una relazione con il pilota olandese ed averla ottenuta, anche se "clandestina", era per me motivo di grande gioia. Questo, però, implicava la sofferenza di un'altra persona. Avevo sempre criticato chi tradisse, chi mentisse, senza sapere che, nel giro di poco tempo, lo avrei fatto anche io. Gettai uno sguardo al ragazzo al mio fianco, che dormiva beatamente con il volto sul cuscino. Sorrisi istintivamente e mi alzai dal letto, cercando di non svegliarlo. Afferrai l'intimo e la maglietta che Max indossava la sera precedente e mi vestii. Mi avviai in cucina e mi sedetti su una delle sedie, per poi appoggiare la testa tra le mie mani. 

I suoi baci erano pura droga, me ne dava uno ed io ne desideravo sempre di più. Erano esattamente come li avevo immaginati, se non addirittura migliori. Erano passionali, aggressivi, mozzafiato. Erano totalmente diversi da quelli di Charles. Con il monegasco non sentivo lo stomaco aggrovigliarsi, le gambe molli o un piacevole calore pervadermi solo quando mi sfiorava. Charles era il miglior fidanzato si potesse mai desiderare, ma non era ciò che volevo. Avevo bisogno di qualcuno che mi facesse stare bene, che mi facesse staccare per un po', che mi dominasse, sia mentalmente che fisicamente. Avevo bisogno di tutto ciò che Charles, anche volendo, non poteva darmi. Quando baciavo Max, mi piaceva accarezzargli i muscoli delle braccia e del petto. Rabbrividivo ogni volta, sia per il timore che mi incuteva sia per l'eccitazione che sentivo scorrermi nelle vene. E lui, consapevole del potere che aveva su di me, cercava di aumentarlo. Voleva sentirsi pieno padrone, essere sicuro che nessuno mi avesse mai fatto sentire come faceva lui, che non avrei mai amato nessun altro come lui. Ed a me piaceva quando si avvicinava pericolosamente a me tanto che ero costretta ad indietreggiare e, schiena al muro e senza alcuna possibilità di sfuggirgli, mi sovrastava con la sua altezza e mi intrappolava con le sue mani poste ai lati del mio capo. E rideva maliziosamente, consapevole di avermi nuovamente in pugno. Allora, sollevandomi, mi faceva circondare il suo busto con le gambe e, afferrate le mie braccia, le allargava e le posizionava contro il muro, affinché non potessi muoverle. Avvicinava le sue labbra al mio orecchio e, dopo avermi sussurrato "Ti Amo", senza neppure darmi il tempo di rispondere, mi baciava. I leggeri baci a stampo li trasformò in passionali. Si udivano unicamente i nostri respiri ed i nostri gemiti sommessi quando mi mordeva il labbro inferiore o spingeva il suo corpo più vicino al mio, impaziente ma non frettoloso. Mi desiderava, esattamente come facevo io, ma non avrebbe posto fine a quella tortura se non glielo avessi chiesto esplicitamente. Amava essere pregato, sapere che dipendessi completamente da lui, che avessi bisogno di lui. 
«Gaia...». Sussurrava, quando, nonostante la posizione scomoda, iniziavo a baciargli il collo. Era il suo punto debole, l'unico. Mi faceva posare i piedi a terra e, in quei casi, ero io ad avere pieno potere su di lui. Abilmente, senza allontanarmi da lui, invertivo le posizioni e quello contro il muro era lui. Facevo vagare le mani sul suo petto, fino a giungere all'orlo della maglietta, che sollevavo e gettavo in un angolo della stanza. Dopo avergli scoccato un'occhiata, iniziavo a lasciare una fila di umidi baci fino alla zona più estrema del busto. Con un rapido movimento gli aprivo la cintura e mi apprestavo a fare la stessa identica mossa anche con la cerniera dei suoi jeans.

«Buongiorno piccola». Alzai lo sguardo, notando Max strofinarsi gli occhi. Sorrisi. 
«Buongiorno». Mi sollevai, rendendomi conto di non aver preparato neppure un caffè, troppo presa dai ricordi. «Perdonami, io...». Mi circondò il busto con le sue braccia, per poi far aderire la mia schiena con il suo petto. 
«Non hai nulla di cui scusarti». Mi sorrise, per poi sbadigliare. Mi lasciò un bacio sulla guancia e ritornò a parlare. «Bel vestito». Ridacchiò divertito. 
«Non avevo nulla da indossare». Dissi prontamente. Mi fece voltare il capo verso di lui. «Ti dispiace?». Scosse la testa. 
«Puoi prendere tutto ciò che vuoi dai miei armadi, mi piace, se lo fai tu». Mi diede un bacio sulle labbra, che io prontamente approfondii. «Devo accompagnarti a casa?». Si allontanò, per avviarsi verso la credenza. La aprii ed afferrò un pacco di biscotti. 
«Sì, credo che...». Non terminai la frase che il mio cellulare iniziò a squillare. Guardai il mittente e spalancai gli occhi. «È Charles». Mi fece cenno di rispondere. Accettai la chiamata e cercai di apparire il più naturale possibile. 
"Buongiorno ma chérie, dove sei? Ti sto cercando ovunque!". Il mio cuore iniziò a battere ancora più velocemente di prima. 
"Buongiorno amore". Max roteò gli occhi, infastidito. Iniziò a barbottare qualcosa di incomprensibile, ma gli feci cenno di tacere.  "Stamattina sono scesa presto, convinta non saresti tornato prima di oggi pomeriggio". Riferii e, in parte, era la verità. 
"Volevo farti una sorpresa". La sua voce era emozionata ed io, in quel momento, avvertii una lama trapassarmi il cuore. Cosa diamine avevo fatto? "Dove sei andata? Posso venirti a prendere?". Il pilota olandese, nel frattempo, si era impossessato del mio cellulare ed aveva attivato il vivavoce, affinché potesse sentire il nostro discorso. 
"Sono uscita per delle compere, ma non preoccuparti tra una quindicina di minuti sarò a casa". Stavo per salutarlo, quando mi fermò nuovamente. 
"Gaia, la tua auto è qui, davanti casa tua, come sei uscita?". Gettai uno sguardo a Max, che mimò, con le labbra, "pullman". Che idea penosa, ma poteva andare.
"Non mi sono sentita molto bene, non volevo prendere l'auto e rischiare un incidente, quindi sono uscita con il pullman". 
"Stai meglio?". Mi domandò, premuroso come sempre. 
"Sì, grazie Charles. Ora pago e sono di ritorno, va bene?". Acconsentii e ci salutammo. Una volta chiusa la chiamata guardai Max. 
 «Per favore, dimmi che hai qualcosa di femminile». Lo supplicai. Si incamminò verso la sua camera ed iniziò a rovistare tra i cassetti. Mi passò un jeans ed una felpa.
«Ho solo questi». Lo ringraziai ed iniziai a cambiarmi. 
«Come farò per la spesa? Non ho comprato assolutamente nulla». Mi colpii la fronte con una mano. 
«Aspetta, forse ho qualcosa». Ritornò in cucina, mentre io terminavo di sistemarmi. Afferrai la mia borsa e, al suo interno, sistemai anche la maglietta di Max. Sapevo che per un lungo periodo di tempo non ci saremmo visti e volevo sentirlo più vicino a me. «Mia sorella, quando viene a trovarmi, mi porta sempre un qualcosa, che io puntualmente non apro mai. Potrebbe andare bene». Gli diedi un bacio di slancio e lo ringraziai. Mi sorrise. «Vuoi che ti accompagni?». Scossi la testa. 
«Non voglio rischiare troppo». Annuì, anche se, forse, un po' dispiaciuto. «Allora ci vediamo». Dissi, semplicemente. Mi fece un cenno con le dita e poi ripose le mani nelle tasche. Sapevamo entrambi che, una volta fuori da quella porta, le nostre vite si sarebbero divise nuovamente. Io ero fidanzata con Charles e quello che c'era stato tra di noi, per quanto bello e per quanto desiderato, non poteva esistere. Uscita da casa sua mi incamminai verso la prima fermata dei pullman. Avvertii una lacrima solcarmi il viso, seguita da molte altre. In che casino mi trovavo. Perché mi ero innamorata di Max? Perché non riuscivo a lasciare Charles? Non provavo più nulla per lui eppure non avevo alcuna intenzione di mettere un punto alla nostra relazione. Quando il mezzo arrivò, salii e, dopo aver pagato il biglietto, andai a sistemarmi su uno dei sedili. 
Charles ogni mattina mi svegliava con un bacio, mi portava la colazione a letto e mi chiedeva come stessi. Max non era per nulla mattiniero, non sapeva cucinare e la prima cosa che mi diceva, una volta aperti gli occhi, era che fossi bellissima. Il pilota monegasco detestava che indossassi i suoi vestiti, non voleva che gli accarezzassi i capelli né tantomeno era il tipo da fare la doccia insieme. L'olandese, invece, non si era mai opposto, anzi, sembrava quasi desiderasse che le facessi o gliele chiedessi. Charles mi lasciava i miei spazi, non era insistente e non si innervosiva quando preferivo rimanere in silenzio e non rivelargli i miei dubbi e le mie incertezze. Max, invece, non voleva rimanere all'oscuro di nulla, per lui i problemi di uno sono problemi di entrambi e quindi andavano risolti insieme. Il mio fidanzato era dolce, premuroso, era amato da tutti, mentre colui che, a tutti gli effetti, era il mio amante era aggressivo, possessivo, dominante. I due erano completamente l'opposto, entrambi avevano degli aspetti che amavo ed altri che detestavo. Eppure l'ago pendeva a favore dell'olandese. 
I miei pensieri furono interrotti dal pullman che giunse a destinazione. Scesi e trovai Charles ad attendermi alla fermata. Mi sorrise ed io ricambiai, anche se in modo più forzato. Stava per lasciarmi un bacio sulle labbra, quando mi scostai. Mi guardò sorpreso.
《Scusa Charles, è solo che sono un po' raffreddata, non vorrei mischiarti》. Dissi, per poi tirare su con il naso. Stava diventando tutto una menzogna e mi odiavo per ciò.
«Oh, capito». Rispose semplicemente, forse non del tutto convinto, ma senza alcuna intenzione di indagare più a fondo. «Cosa hai comprato?». Aprì la busta che avevo tra le mani. «Ah, non sapevo ti piacessero questi biscotti, ehm...». Cercò di leggere il nome, fallendo miseramente.
«Gli stroopwafel, sì. Li assaggiai quando feci quel viaggio in Olanda, ricordi?». Annuì, anche se non del tutto convinto. Effettivamente non li avevo mai mangiati, ma, evidentemente, a Max piacevano e la sorella glieli aveva comprati.
«Non sapevo neppure che li vendessero, qui a Montecarlo». Mi riferì, per poi circondarmi le spalle con il suo braccio. Iniziammo ad incamminarci verso la mia dimora, che non era molto distante dalla fermata.
«Neanche io. Sono entrata nel negozio, li ho trovati e li ho comprati». Dissi in maniera sbrigativa.  «Comunque, come è andato il viaggio?». Domandai, cercando di cambiare discorso.
«Bene. È stato un po' stancante, ma sono felice di essere nuovamente qui». Si voltò a guardarmi e solo allora notai un segno sul suo collo. Era rosso e quando Charles capì che lo avevo visto, iniziò a ripulirsi. Era rossetto e sicuramente non era il mio, siccome non lo portavo in quel momento e non lo avevo baciato. Contrariamente a quanto avrei detto in altre circostanze, non ero per nulla gelosa e l'idea che Charles potesse avere un'amante non poteva che essere di sollievo. «Scusa, prima sono andato da mia madre». Disse, riferendosi al segno sul suo collo. Effettivamente Pascale era solita portare rossetto rosso, ma il suo disagio era stato eccessivo.
«Sì, non preoccuparti». Aprii la porta di casa e lo feci accomodare. «Io devo farmi una doccia...». Dissi e lui annuì.
«Rimango qui ad aspettarti». Gli sorrisi e mi avviai verso il bagno. Mi assicurai di avere la mia borsa con me. L'ultima mia intenzione era quella di farmi scoprire a causa di una maglietta. La sistemai su un mobiletto ed iniziai a spogliarmi. Avvertii il cellulare vibrare, segno che era arrivato un messaggio. Lo afferrai e notai che era di Max. Sorrisi istintivamente.
"Una maglietta è scomparsa". Ridacchiai.
"Ups, davvero? Chi sarà mai stato?". Lo immaginai sorridere al mio messaggio.
"Non saprei proprio, forse una delle mie molteplici ragazze". Non risposi subito e giunse un altro suo messaggio. "Sto scherzando".
"Scusa se ho preso la tua maglietta. Aveva il tuo profumo". Risposi immediatamente.
"Mi fa piacere ce l'abbia tu e poi anche tu hai dimenticato qualcosa". Mi mandò la foto del mio orecchino. "Questo significa che per riaverlo dovrai venire qui".
"Furbo".
"Oh, lo so. Ora devo andare, ho una conferenza con il team e poi tu hai Charles". Annuii, anche se sapevo che non potesse vedermi. Io avevo Charles.
"Sì, ci sentiamo, Maxie".
"Ci sentiamo, schat". Sorrisi e sistemai il cellulare nuovamente nella mia borsa. Entrai nella doccia e lasciai l'acqua scorrere sul mio corpo. Avevo bisogno di chiarimenti, di certezze, di rassicurazioni. Chiusi gli occhi, per pochi istanti, e li vidi entrambi. C'era il primo bacio con Charles, la nostra prima volta, le volte in cui mi aveva consolato, istigato o fatto arrabbiare. Dall'altro lato, invece, avevo Max, il nostro primo bacio, la nostra prima volta, la sua arroganza e presunzione, il suo essere molto protettivo. Li guardavo attentamente, cercando di capire cosa dovessi fare. Mi avvicinai a Charles, ma scomparve, lasciandomi disorientata. Mi voltai, allora, verso Max. Mi incamminai e lo vidi sorridere. 
«Con lui non sarai mai felice, scegli me». Mi riferii, per poi allargare le braccia, attendendo che lo stringessi a sé. 
«Non ti amerà mai quanto me». Udii la voce di Charles dietro di me. 
«Non ascoltarlo, chi ama non tradisce, ricordalo». Chi ama non tradisce. Aveva ragione. Io avevo tradito Charles, quindi non lo amavo. Era inutile rimanere in quella relazione, era inutile inseguire l'infelicità. Aprii gli occhi e cercai di regolarizzare il respiro che si era fatto sempre più affannoso. 
«Gaia, stai bene?». Mi domandò Charles dall'altro lato della porta. 
«Sì, sto bene. Tra un po' esco». Non lo sentii rispondere, segno che fosse sceso nuovamente in salotto. Dovevo solamente trovare il momento più adatto e poi avrei lasciato Charles. Non aveva alcun senso rimanere con lui se il mio cuore apparteneva a Max. Finii di lavarmi ed uscii dalla doccia. Coprii il mio corpo con un asciugamano e, afferrata la borsa, mi avviai verso la mia camera da letto. Mi cambiai e poi ritornai da Charles. Una volta essere giunta nella stanza, però, non lo trovai. Notai solamente un bigliettino con su scritto "Scusami, sono dovuto scappare per degli impegni. Se vuoi ci vediamo stasera". Avrei sicuramente rifiutato, non avevo alcuna intenzione di uscire con lui. Volevo solamente riposarmi. E poi chissà cosa aveva avuto da fare di così importante da doversene andare senza neppure salutarmi. 

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