Mastice, pezza, gesso (I)

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Mi serve una settimana di letto forzato per convincermi che il binomio è rinato in tutto il suo splendore. Nonostante il rifiuto di Rita e Massimo, Marco si trasferisce da me e si trasforma in un efficientissimo infermiere personale. Quando gli effetti dell'antidolorifico svaniscono e la gamba pulsa, lo stringo come se fosse un peluche da strapazzare e scopro che i suoi baci sanno allontanare le fitte al ginocchio più di un blister di pastiglie.

Domani dovrò tornare a scuola, ordini di mia madre. Se avessi una lampada da genio, chiederei di bloccare gli orologi e fermare il tempo a questo istante. Ci sono ancora pochissimi granelli di pace, prima di ributtarsi a capofitto nella routine di tutti i giorni.

Davanti a Marco – che zitto zitto salta scuola – spacchetto il regalo che mi ha portato da Dublino, un paio di All Star a scacchi scozzesi, identiche alle sue, se non per la taglia.

«Le ho prese in Irlanda, Nanà. Ti piacciono?» Ignora i miei "moltissimo" e l'inutile tentativo di indossarle pur avendo il gesso. «Non trovi che sia geniale mettere le stesse scarpe? Così il mondo sarà costretto a fare i conti con un'altra prova del binomio.»

Ultimamente continua a parlare di simboli e dimostrazioni del nostro ritorno in grande stile.

«Il resto del mondo non potrà ignorarci ancora a lungo!» ride, in piedi sulla sedia come la statua trionfale di un imperatore romano. «Sbatteremo in faccia all'intera Viacampo che siamo ancora noi e che saremo per sempre indistruttibili!»

Rinuncio a infilarmi le All Star e le accosto allo zoccolo del comodino, per poi tirarmi seduta con un grande sforzo.

«Mi servirebbe una gamba nuova per tenere testa alla tua energia» sbotto con un pizzico di depressione.

Marco scende dal piedistallo di trionfo e balza sul letto, fa vibrare le molle sotto il materasso, traballare il gesso, piccole scosse che pugnalano il ginocchio, ma il dolore è uno scotto che posso pagare, pur di riaverlo con me.

«Sono abbastanza forte da portarti in braccio fino a Capo Horn e poi di corsa allo Stretto di Bering!» esclama, indicando due puntini sulla grande cartina appesa.

«Hai preso due nomi a caso, vero?» lo accuso.

Lui si gratta la nuca, in faccia la stampa di un sorriso che batterebbe la luce del sole:

«Ah, Nanà! Ti porterò ovunque tu voglia andare!»

Fantastichiamo su un ipotetico viaggio che faremo un giorno, insieme. Gli dico che mi piacerebbe prendere l'Orient Express, come i protagonisti dei romanzi di Agatha Christie, ma quando gli spiego che Agatha Christie è una scrittrice di gialli, scarta la proposta.

«Ci manca solo che ci scappi il morto, Nanà!»

Dopo una mattina di progetti per il futuro e un trancio di pizza mangiato davanti a un episodio di Dragonball, Marco smette di imitare Majin Bu e si siede sul tappeto accanto al letto. Fruga nel borsone da allenamento, piccoli gesti che producono un rumore di cocci di vetro.

«Che nascondi lì dentro?» gli chiedo.

Anziché rispondermi, Marco fischietta una canzone e cambia le note, rendendomi impossibile risalire al titolo. Il tintinnio di vetro si unisce al suo canticchiare e crea un concerto di flauti stonati e triangoli isterici, troppo per le mie orecchie. Sono le tre di pomeriggio ormai e gli antidolorifici bucano lo stomaco, lo costringono a borbottare in continuazione. Apro bocca per pregare Marco di portarmi del cibo, ma lui inserisce le parole di Una donna per amico, come quando sgommavamo verso la Val d'Ora:

Binomio - 1Where stories live. Discover now