Cime tempestose (II)

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Ho mentito spudoratamente alla signora Iachemet e a Biagio: i miei non mi aspettano per cena. Sono da amici. Valentina, invece, si è auto-invitata da Marina per una notte, con le intenzioni di raccattare ogni informazione possibile sulla sua love story con Giacomo.

Immersa nella solitudine, mi rannicchio nel letto, con le ginocchia portate al petto. Davanti agli occhi ho ancora la fotografia della festa dei diciotto, tutta la gioia che ognuno di noi sembrava sprizzare in una fontana di energia e spensieratezza. Che poi, in realtà, a che cosa dovrei pensare? È tutto chiaro: Marco sta con Celeste; Biagio non è guarito. Eppure, la mente si perde in un labirinto di pensieri, le iridi fissano il bianco della parete... finché il campanello suona.

Chi può essere?

Vado ad aprire senza controllare al videocitofono e, appena arrivo al cancelletto, le parole muoiono in bocca.

Ha la carnagione abbronzata, nessuna sigaretta tra le labbra. Lo avvolge uno strano odore di lande selvagge, di erba e fieno, profumo di terra, la stessa che deve avere coltivato. Sa di zolfo, il verde rame che i contadini gettano sulle piante, perché parassiti e insetti non divorino i loro frutti. Poi ci sono i capelli ricci, più chiari, sbiaditi per i raggi di un sole troppo forte in Argentina. E infine un grande borsone che Stefano tiene in spalla, in attesa che gli dia il permesso di entrare e di appoggiarlo a terra.

«Vuoi trasferirti anche tu a casa mia?» gli chiedo.

Sarebbe più semplice dargli il bentornato, chiedergli per quale motivo sia di nuovo a Viacampo, lui che aveva detto di voler tornare a settembre, per l'inizio della scuola. Siamo ancora in agosto, anche se mancano pochi giorni alla fine del mese.

«Perché dovrei trasferirmi a casa tua?» mi chiede.

«Perché Valentina ha avuto questa brillante idea e non vorrei avesse contagiato la restante popolazione di Viacampo.»

Stefano ride. Lascia cadere il borsone sui cubetti di porfido e mi fissa, mentre io fisso a mia volta lui, incerta sul da farsi.

«Che fai, Nina? Non ti degni nemmeno di salutarmi?»

Il corpo si muove da solo e, prima di connettere, mi ritrovo abbracciata a lui, attaccata al suo collo, con il volto schiacciato nel petto. E stringo, con tutta la forza che ho, per non permettergli di scappare via.

«Mi sei mancato tantissimo» ammetto in un sussurro.

È la seconda rivelazione imbarazzante che faccio oggi, dopo il ti voglio bene detto a Biagio.

Stefano non se lo aspetta: i muscoli si irrigidiscono, sorpresi da quell'improvvisa ondata d'affetto, decorata dal calore di parole inattese.

«Anche tu» mi dice. «Da ancora prima della mia partenza.»

Non do alle sue parole un significato maggiore di quello che forse hanno. Siamo stati lontani negli ultimi mesi. Niente più partite a scacchi, niente più match a dama, niente più pomeriggi a rollare Drum, niente più serate al Bandiera Rossa. A tal punto il piccolo errore di una volta ha bruciato la nostra amicizia.

Ci sediamo sui gradini di pietra che guardano sul giardino.

«Credevo dovessi tornare a settembre» esclamo, per rompere il ghiaccio.

«Infatti è così» ammette Stefano. «Ma Pietro deve avere bevuto dell'acqua putrida o mangiato qualcosa di velenoso. Fatto sta che si è sentito male e abbiamo preferito tornare a casa.»

Mi racconta dell'Argentina e del lavoro in quelle terre. Parla dei serpenti che bucano la terra e pungono a morte i coltivatori, della felicità dei bambini nell'apprendere nuovi giochi, della disponibilità della popolazione che offre acqua ai volontari. È acqua sporca, spiega Stefano, spesso giallastra e con qualche grumo di terra che nuota nelle anfore, ma è impossibile rifiutare, perché per il loro costume sarebbe un'offesa senza pari.

Binomio - 1Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin