Ferite alla Nutella (III)

72 16 20
                                    


Te lo ricordi il terzo anno di liceo, Nanà? Sembra passato un millennio da quel gennaio in camera tua e invece è poco più di un anno. Siamo stati lontani per mesi per colpa dei pettegolezzi di Alex. In quei tempi credevo fosse impossibile essere tanto distanti, quando in realtà volevo solo stare con te.

Così, quando non entravi dalla porta di casa mia, quando non sedevi al posto a tavola che ti appartiene, quando non mi parlavi a scuola, anche se eravamo vicini, quando non ti trovavo al bancone dello Yeti, mi dicevo che avrei usato tutta la mia immaginazione, pur di riaverti con me.

E invece non ho fatto altro che riempirti di promesse. Abbiamo costruito il nostro castello su parole, senza che passassi ai fatti, e quando è arrivato un terremoto troppo forte – l'aneurisma di Biagio – abbiamo scoperto che le fondamenta della nostra fortezza erano state costruite con la sabbia. Bastava poco, perché una frana ci distruggesse.

Ci siamo allontanati di nuovo, molto per colpa mia. Sono andato nel pallone, ma tu hai dato la sferzata decisiva per ridurre il castello a un cumulo di terra secca. È stato allora che ho capito di non avere fatto abbastanza in passato. Forse non hai fatto abbastanza nemmeno tu, ma io posso prendermi solo le mie colpe, cosa credi, Nanà? Le tue ti appartengono. Posso dirti che hai ragione.

Non ho mai rispettato le mie promesse, ma adesso voglio cambiare. Dalla promessa più piccola alla promessa più importante. Ed è con una promessa che voglio concludere: da questo momento ti prometto che non ci saranno più illusioni.



Quando ho chiesto a Marco dove intendesse portarmi, ho ottenuto in risposta il discorso più lungo della sua vita. Marco parla molto, da sempre, parla forse più di me, ma non credo di avere mai sentito delle parole tanto sincere. Ancora sotto la quercia, vicino al pontile, non ho fatto altro che stringermi più a lui, incastrando il viso nel suo petto.

«Non avrei dovuto rinfacciarti quelle cose» ammetto. Dirgli che di lui non mi posso fidare, che è un bugiardo. «Avrei dovuto avere più pazienza, non essere così stupida. Non allontanarmi solo perché me l'hai chiesto, provare a farti ragionare.»

«Ma io per natura sragiono!»

«Allora avrei dovuto farti sragionare più del solito» gli concedo. «Magari sarebbe servito a qualcosa!»

«Dalle rape non esce il vino, no?»

Marco si prende in giro da solo. C'è un sottile filo di vento che viene dal lago e allevia l'afa di fine primavera. È un soffio d'aria che mi avvolge e condanna a uno stato di sonnolenza.

«No» ammetto. «Dalle rape e dagli zucconi non può proprio uscire il vino.»

Marco riprende a ridere, ma anche lui rischia di cedere al sonno. A occhi chiusi, lascio che la sua voce mi delizi le orecchie, che mi guidi nel regno dei sogni. La terra sotto l'asciugamano è dura e preme contro la spalla. Il braccio di Marco sarà sicuramente intorpidito dal peso della mia testa, ma per quanto la posizione raggiunga l'apice della scomodità, mi lascio rapire da un sonno pesante e sereno, convinta che, quando mi sveglierò, un grande enigma verrà risolto.


*


Nei giorni successivi Marco scompare. So per certo che vuole tenersi alla larga, per paura di essere messo sotto torchio dall'inquisitore supremo Nina Adami. Finché non arriva il grande momento. Marco passa a prendermi alle sette di mattina, sbuffa quando mi trova con i capelli scompigliati.

Binomio - 1Where stories live. Discover now