Il tanga del peccato (III)

63 15 13
                                    


Nel nome di Yuri si conclude il mio penultimo anno di liceo. Mentre Valentina e il grande Conte studiano per la maturità, abbozzo sull'agenda alcuni propositi per l'estate. Recuperare al mille per cento la mia amicizia con Marco è l'obiettivo in cima alla lista.

Ora che ho la patente e i miei genitori mi prestano la macchina, il raggio d'azione del binomio si può ampliare. E se Verona resta troppo lontana, in serata è possibilissimo andare a Nomi, ballare al K2 e tornare prima delle tre di notte, ora che coincide con il mio coprifuoco.

Nomi è una cittadina cupa. Anche d'estate, alla mattina, una fitta nebbia si alza dal fiume che avvolge in un'ansa la penisola, tanto che solo attorno alle dieci di mattina i raggi di sole forano quel manto opaco che non consente di vedere a una spanna dal naso.

La sera dicono faccia particolarmente freddo, per colpa della brezza che viene dal fiume. Eppure Nomi non mi dispiace. A differenza di Viacampo è una cittadina universitaria, la più vicina a casa, seguita quanto a distanza dall'Ateneo di Verona. Ci sono più locali, più musica dal vivo, più happy-hour che si protraggono fino all'una di notte.

«Ora che siamo grandi, dobbiamo andarci» dico un pomeriggio a Marco. «Mio cugino mi ha parlato di un posto dove va a giocare a biliardo. È in una birreria dove ci sono un sacco di spine e fanno una rossa da urlo. Se stasera mia mamma mi lascia la macchina, è fatta!»

Ed eccoci qui, arrivati a destinazione, a Nomi, in un piccolo parcheggio sterrato vicino a un sottopassaggio. È buio pesto, senza un lampione che illumini il marciapiede mezzo distrutto sul quale camminiamo. Inciampo in una lattina e grido d'istinto, immaginando sia il cadavere di una giovane donna.

«Nanà! Sei una fifona!» ride Marco a pieni polmoni. Mi stringe a sé e fa luce con il display del cellulare. «Nomi è una tranquilla cittadina universitaria, dove non succede mai niente di niente, e tu hai paura?»

«Non ho paura!» Intanto però mi faccio più vicina. «Sei tu che hai paura.»

«Sì, come no? Di essere stracciato a biliardo, immagino!»

Ovviamente. Mentre mi asciugavo i capelli, ho guardato un paio di tutorial in internet e ho provato a colpire una pallina di carta stagnola con l'asta del nastro di ginnastica ritmica.

«So per certo che ti straccerò, zuccone!» Se mai arriveremo vivi a destinazione.

Appena sbuchiamo dal sottopassaggio, ci troviamo davanti un grande edificio a vetri, la facoltà di economia. Alcuni ragazzi sulle panchine giocano a briscola alla luce del cellulare, ma sono talmente ubriachi da non accorgersi di avere le carte da scala quaranta.

«Credi che anche noi saremo così?» esclamo. «Come loro, voglio dire. Credi che anche noi ci divertiremo così tanto e saremo così felici?»

Marco si blocca davanti al semaforo e studia il gruppetto di ragazzi. Due di loro tirano fuori delle lattine di birra dagli zaini. Una ragazza, in piedi sulla panchina, propone di tornare in appartamento e di fare una pastata di massa, così da asciugare un po' di liquido.

«Nonostante tutto, io sono già felice» ammette Marco, alzando le spalle. «E noi siamo e saremo meglio di quelli lì. Sai cosa sarebbe bello? Che diventassimo coinquilini.»

«Aiuto!» rido a crepapelle. «Litigheremo tutti i giorni. Lasci sempre il filtro del tè nel lavandino e non credo di averti mai visto lavare i piatti o rifarti il letto!»

Arriviamo nella piazza centrale con il Comune e svoltiamo a sinistra, seguendo il flusso di giovani.

«Ma davvero?» Marco si finge indignato. «Tu passeresti ore su ore in bagno ad asciugare i tuoi lunghissimi capelli rossi e io dovrei chiedere ai vicini di usare il loro water. E poi dovrei sopportare le tue sfuriate e la mattina... cavolo! La mattina sarebbe l'incubo peggiore. Sei rumorosissima di mattina, Nanà! Sbatti sempre la tazza del caffè nel lavandino e hai il vizio di cantare senza nemmeno accorgertene!»

Binomio - 1Where stories live. Discover now