Capitolo 723: Tunc enim frigebat Venus.

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I giovani faentini che erano stati attaccati al Convento dei Minori Osservati ressero l'attacco per oltre una settimana. Solo quando si resero conto che incaponirsi in quell'eroica resistenza era solo controproducente, si ritirarono in città.

Cesare, che già stava temendo il peggio, non perse tempo e ordinò che quel convento venisse simbolicamente usato come quartier generale dei pontifici.

Per piazzare nel modo migliore l'artiglieria, Cesare chiese consiglio soprattutto ad Achille Tiberti e Dionigi Naldi. Il primo, oltre a conoscere bene la zona, sapeva come i faentini organizzavano la controffensiva, e dunque poteva essere utile per anticipare le mosse del nemico. Il secondo, invece, era animato in quei giorni da una furia tutta sua, che lo rendeva crudele e spietato nei confronti dei faentini, e quindi sapeva suggerire dove colpire per far più male al cuore della città.

Quella reazione era legata a un fatto accaduto a inizio mese, quando Dionigi stava conducendo qualche scorreria nelle campagne lì appresso. Si era imbattuto in Ettore Galli, un prete di Val Di Lamone, cappellano personale, si diceva, di Astorre Manfredi, e nemico personale di lunga data di Naldi.

Quel prete, famose in tutta la Romagna per la sua forza erculea, tale da permettergli di piegare a mani nude un ferro di cavallo, l'aveva attaccato immediatamente non appena l'aveva riconosciuto, e, quando si erano trovati faccia a faccia, aveva disarcionato Dionigi, per poi sollevarlo di peso da terra e issarlo sul proprio cavallo per portarlo a Faenza. Ettore aveva desistito solo perché i fanti del Naldi l'avevano soccorso, ferendo Galli in più punti, convincendolo a lasciare il suo prigioniero e a scappare.

Malgrado il lieto fine della vicenda, però, Dionigi era stato preso di mira da molte battutacce, anche tra i suoi uomini, perché quella scena aveva ricordato a molti il rapimento di una fanciulla a opera di un pretendente respinto e così l'uomo, oltre alla spavento di essere stato quasi portato nella tana del nemico, doveva anche far i conti con quei motti di spirito tutt'altro che piacevoli.

L'unico comandante che davvero mancava al Valentino per starsene tranquillo nel corso di quell'attacco era Giampaolo Baglioni. Pur avendo cercato di trattenerlo, Cesare aveva dovuto lasciare che il perugino tornasse di nuovo in Umbria e, da quello che ne sapeva, doveva trovarsi in quei giorni nei pressi di Fossato di Vico, intento a combattere per il proprio onore contro Carlo Baglioni e Girolamo Della Penna.

Quelle, secondo il Duca di Valentinois, erano poco più che beghe di famiglia, e le riteneva un motivo stupido per lasciare proprio in quel momento la Romagna, tuttavia aveva anche capito quanto fosse importante tenere rapporti distesi con il Baglioni, e quindi non si era permesso di riprenderlo o trattenerlo in modo forzato.

Non appena si mise a discutere con Achille Tiberti e Dionigi Naldi, comunque, il Borja si rese conto che forse il perugino non era nemmeno così indispensabile come avrebbe creduto.

"Attacchiamo massicciamente la rocca." propose subito Tiberti, indicando con la testa in direzione della fortificazione: "Tutte le bocche da fuoco là contro. Senza risparmio."

"Al nuovo bastione." rincarò Naldi: "E se riusciamo a distruggere il ponte che collega la rocca alla città, tanto di guadagnato: isoleremo i pochi soldati buoni che sono rimasti loro dal resto dei faentini."

Cesare strinse le labbra e poi, scrutando il cielo, che in quel giorno d'aprile sembrava intenzionato a sorridere al loro attacco, chiese: "Cinquecento, seicento colpi potrebbero bastare?"

Achille e Dionigi lo guardarono in silenzio per un lungo momento e poi si fissarono un istante l'un l'altro. La risata che uscì dai loro petti fece vergognare il figlio del papa, che provò un immediato moto di rabbia verso quei due condottieri che si permettevano di prenderlo in giro a quel modo. E tuttavia, non volendo trasformare Faenza in una seconda Forlì, ben deciso a far sì che quella fosse la conclusione della campagna e non solo una penosa stazione di una lunga via crucis, il Valentino evitò di dar sfogo alla propria ira e, per non perdere tempo mise da parte l'orgoglio.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte V)Where stories live. Discover now