Fair Face

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VI. Spalanca le fauci con tre bocche in viso,
l'angelo più bello del paradiso

La tiepida luce del sole iniziava a filtrare attraverso le spesse coperte appese alle finestre come se fossero tende, e per la prima volta Michelle non provò il solito dolore lancinante. I suoi occhi stavano migliorando velocemente, ed anche Hange era quasi sicuro che si sarebbero completamente ripresi. Michelle non era mai stata veramente preoccupata, ma non poteva dire lo stesso di Erwin, che con ogni probabilità aveva temuto di averla accecata per tutto quel tempo.
Ogni volta che pensava a quell'uomo sentiva una scarica di adrenalina nel corpo e un leggero vuoto allo stomaco, accompagnato a volte da una bruciante sensazione sulle labbra.
Era sola molto spesso, quindi pensava a lui quasi tutto il tempo e ciò non faceva altro che farla impazzire ancora di più. Tre notti prima si erano baciati, e ogni volta che rivedeva quel momento il calore che si creava in lei era letteralmente inestinguibile e doveva sopportarlo fino a quando non riusciva a calmarsi o a distrarsi con qualcos'altro.
Il giorno dopo la loro passeggiata notturna Erwin non era passato a farle visita fino alla sera, e per tutta la giornata Michelle era stata nel letto a rimuginare su tutto, temendo che non venisse più e che quello fosse stato solo un gesto casuale, un qualcosa che la sua totale inesperienza nel relazionarsi con gli altri non le faceva comprendere.
A fine giornata però Erwin era entrato, timido ed impacciato, l'aveva medicata silenziosamente, provocando un certo imbarazzo e si era limitato ad un tiepido bacio a stampo. Michelle custodiva nel cuore la sensazione umida delle sue labbra addosso, morbide e delicate come un soffio di vento. Non aveva mai baciato nessuno prima di allora, ma riusciva già a dire che lo avrebbe fatto per tutto il giorno se si trattava di baciare Erwin. Se ne innamorava sempre di più, e più prendeva consapevolezza dei suoi sentimenti più si odiava, ma lui riusciva a farle dimenticare ogni cosa con la sua sola presenza.

Il giorno prima era passato a trovarla anche al pomeriggio, ma non si erano toccati molto, cosa che aveva fatto scaturire in lei una strana voglia. La sera però era giunto il turno di Hange, lasciandole un po' l'amaro in bocca. Non che la compagnia di quella persona tanto strana quanto intelligente la infastidisse, ma aveva pregustato ben altro. Almeno aveva potuto parlare un po' con qualcuno, e il Caposquadra l'aveva aggiornata sulle notizie principali, compresi i gossip più gustosi, che in quel periodo riguardavano principalmente Mike e Nanaba, a quanto pare sempre più in sintonia. Michelle si consolò con il fatto che stando chiusa lì non dovesse reggere la candela tra quei due e Hange rise alle sue considerazioni prima di andarsene.

Per accelerare la guarigione adesso veniva medicata due volte al giorno, e quel mattino, dopo aver dormito un paio di ore, si era svegliata a causa del trambusto causato dall'esodo degli altri soldati verso la mensa. La prima cosa che notò fu che quel giorno gli occhi le dolevano molto meno rispetto alle mattine precedenti, quando anche solo i più piccoli spiragli di luce le provocavano lacrimazione continua e fitte tanto forti da farle venire la nausea. Si disse che quel giorno forse avrebbe potuto provare ad aprire le palpebre e a vedere qualcosa, e dopo essersi lavata e aver fatto una veloce colazione con ciò che era stato lasciato nel solito vassoio sopra al letto, finì di prepararsi.
Con le spalle alle finestre, slegò l'intreccio di garze che le cingeva la testa fino a quando i suoi occhi non furono nuovamente liberi di respirare.
Li tastò delicatamente, ricreando le immagini attraverso il tatto come aveva imparato a fare negli ultimi giorni. Non le parvero troppo gonfi a dire il vero e in uno slancio di fiducia dischiuse lentamente le palpebre. Il dolore fu immediato e bruciante, ma strinse i denti nella speranza di riuscire a rivedere il mondo almeno per qualche secondo. La sua caparbietà però non venne premiata, e un fiotto di liquidi le uscì dagli occhi mescolato al dolore più acuto e fastidioso che avesse mai provato. Si portò le mani sulle palpebre, cadde in ginocchio e forse urlò. Si sentiva come se due grosse lance le avessero appena trapassato la testa da parte a parte, e avvertiva le mani completamente bagnate da quel liquido misto a sangue che le fuoriusciva in grosse lacrime lungo tutto il volto.

Call of silence /Erwin Smith/Where stories live. Discover now