Ghost town

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IIX. When it all falls, when it all falls down
we'll be two souls in a ghost town.

Erwin non piangeva spesso, anzi, era difficile che permettesse alle sue emozioni di prendere il sopravvento, anche quando il cuore urlava nel petto in preda allo strazio, ma quel giorno stentava a resistere. Nonostante le sue esperienze passate gli mettessero tutte le carte in regola per farlo, non amava piangere, e non lo faceva. Aveva già pianto troppo quando era ragazzino, farlo adesso era solo distruttivo. Negli anni aveva imparato come ostruire con i pensieri i dotti lacrimali, e a grandi linee il metodo funzionava. Quel giorno però si sentiva estremamente depresso. La spedizione era appena terminata ed era stata una delle più disastrose che ricordasse, con un numero di morti assordantemente alto e ostinato a rimbombargli nelle orecchie per farlo impazzire. I dottori galoppavano per i corridoi della base militare, e gli infermieri viaggiavano di continuo cercando di trasportare i feriti più gravi negli ospedali.

Erwin era alla finestra del suo ufficio e cercava in tutti i modi di non guardare le lapidi del campo santo. Sapere che a breve sarebbero raddoppiate a causa sua lo faceva stare male. La spedizione era terminata straordinariamente tardi, e anche se era notte fonda non sentiva minimamente la stanchezza. Il dolore era un deterrente sufficientemente forte per distrarlo, e temeva che sarebbe finito per non riuscire minimamente a prendere sonno.
Senza staccare gli occhi dalle stelle prese a giocare distrattamente con il grosso pendente verde che gli ricadeva sul petto, e si perse nei ricordi. Ne aveva sempre avuto uno e nonostante ripensarci fosse distruttivo, finì con il farlo.

Ricordava ogni cosa di quel giorno. Il cielo era ricoperto da uno strato bianco di nuvole pannose e l'atmosfera primaverile aveva fatto rifiorire la gioia negli animi della città. Gli alberi del lungo viale erano carichi di fiori colorati, e un venticello fresco ne muoveva bonariamente le fronde come la mano di un anziano che scompiglia i capelli ad un bambino.
Come ogni altro giorno Erwin era uscito da scuola insieme a suo padre, e attratto dai profumi e dal rumore allegro delle risate aveva chiesto a colui che era anche il suo maestro:
"Papà, passiamo alla fiera prima di andare a casa?"
L'uomo ci aveva pensato un po' su, ma poi si era convinto a regalare al suo serissimo figlio qualche momento di leggerezza e lo aveva preso per mano, camminando lungo il viale alberato con il piccolo Erwin che si perdeva sempre di più ad osservare la miriade di bancarelle ai lati della strada. L'odore della carne cotta allo spiedo gli aveva provocato un forte brontolio allo stomaco, ma era troppo preso da altro per pensarci. Era tutto così allegro, divertente, colorato. Le coppie ballavano al ritmo di tamburi e flauti, le vecchie vendevano mele caramellate e spiedini di arrosto, mentre non c'era angolo in cui non si vendessero birra e altri alcolici.
Erwin perse gli occhi in tutto quel caos di suoni e movimenti. Per lui non c'era stato mai niente di così attrattivo, i libri su cui passava le giornate non raccontavano di eventi del genere, e nulla sembrava poter eguagliare quella ricchezza di dettagli. Vide due ubriachi che facevano una cosa strana unendo le labbra, con l'uomo che stringeva le grosse protuberanze che le donne hanno sul petto, ma prima di poter chiedere a suo padre la sua attenzione venne catturata da qualcos'altro. Dietro ad una bancarella sudicia un vecchio vendeva collane, bracciali e pietre magiche, ma la cosa che lo attirò fu un grosso pendente verde esposto in prima linea, tanto simile a quello dei soldati che vedeva sempre passare in città.
"Papà, guarda!"
Aveva mollato la sua mano ed era corso a guardare, la piccola giacca scura che gli svolazzava sui fianchi. Come gli era stato insegnato aveva tenuto le mani dietro la schiena senza toccare nulla, ma il brillio nei suoi occhi era innegabilmente loquace. Aveva sempre voluto avere quel pendente, non sapeva neanche bene perchè. Il suo papà diceva che chi usciva dalle mura rischiando la vita per l'umanità era un eroe coraggioso e lui aveva sempre sognato di poter diventare un eroe, un giorno.

"Ti piace?"
La voce di suo padre giungeva alle sue spalle. "Sì, papà, me lo compri, per favore?"
Non amava chiedere le cose ai suoi, non che i soldi mancassero a casa, ma in genere non sentiva particolari bisogni che fosse possibile soddisfare attraverso il denaro, ed erano rare le volte in cui chiedeva qualcosa. Suo padre gli sorrise, e come ricompensa per i voti altissimi presi nel trimestre decise di regalarglielo. La replica del pendente però era abbastanza costosa per essere messa al collo di un bambino che con ogni probabilità l'avrebbe esposta a giochi ed intemperie pericolosi, e alla fine optarono per un pendente molto simile, più piccolo e meno prezioso, di un colore un po' più scuro ma ugualmente bello. Erwin se ne era follemente innamorato e da quel giorno non era mancata mattina in cui non se lo era aggiustato con una cura quasi maniacale attorno al colletto della camicetta bianca.
Ancora adesso ricordava lo sguardo amorevole dei suoi genitori quando lo scorgevano a sistemarselo o a riallacciare il fiocchetto di cuoio per la milionesima volta.

Call of silence /Erwin Smith/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora