46. 𝐈𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐢𝐧𝐚𝐢𝐨 (Queenie)

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Non sapeva perché fosse tornata in città. Perché avesse insistito per mescolarsi tra le folle di No-Mag spaventati o perché avesse deciso di farsi del male guardando la tempesta che aveva avvolto la città e la grossa statua, pensando alle persone a lei più care che ormai si era lasciata scivolare via.

Erano passati già cinque giorni da quello che i giornali babbani avevano definito come "Il temporale più spaventoso dell'ultimo secolo". Ma cosa ne potevano sapere loro? Fino a che Grindelwald non gli si sarebbe presentato davanti di persona i No-Mag avrebbero continuato a vedere solo una parte del quadro. Era quello che gli riusciva meglio, in fin dei conti. Talmente tanta era la fede che riponevano nei loro progressi tecnologici e nei loro ego talvolta smisurati che il resto non contava. Quello che c'era al di là del loro mondo finiva per creare scandalo, ma per non diventare mai una loro preoccupazione. Così, a conti fatti, tutto quel trambusto era finito per essere ridotto ad un semplice temporale spaventoso. E tutti i cittadini erano stati spronati dai piani alti ad andare avanti, come se nulla fosse accaduto.

In quei giorni Queenie sopravvisse per miracolo. Si spostò da una parte all'altra della città, lontana da occhi indiscreti, rifugiandosi in squallidi quartieri di periferia con la scusa di essere una viaggiatrice stanca in cerca di alloggio. Il terzo giorno ebbe la fortuna di trovare un mercato, dove racimolò una piccola scorta di viveri. Non molto, in realtà: solo lo stretto necessario a impedirle di cedere. Una speranza vana, considerato che di quel passo sarebbe ceduta comunque. E non per colpa della fame, ma per colpa della sua testa.

Il fatto era che ridotta in quello stato non riusciva quasi più a stabilire un controllo sulla sua abilità da Legilimens. La sua testa vagava liberamente tra i pensieri della gente, assillandola e torturandola. E quando lei tentava di fermare i suoi poteri, quelli finivano per peggiorare la situazione. Se fosse andata avanti così sarebbe arrivata al punto in cui non avrebbe più distinto i suoi pensieri da quelli degli altri.

Come se non bastasse la promessa che aveva fatto a Jacob e Tina la assillava. Per tutto il tempo della sua fuga aveva evitato quei due nomi, come se da pilastri del suo cuore fossero diventati demoni dai quali voleva scappare.
Scappare... quella parola rievocò uno dei suoi tanti incubi, il peggiore. Una stanza fredda, dalle pareti consumate. La voce di Grindelwald che parlava fuori campo, facendole gelare il sangue nelle vene.

"Hai sempre e solo saputo scappare, Queenie.

Dalle cose, dalle persone, da te stessa.

Hai sempre e solo saputo nasconderti sotto un sorriso, una risata, magari un bel vestito.

Ma ora... è arrivato anche il tuo momento, hai visto? Il momento in cui il vero sapore delle lacrime ti ha scorticato il palato.

Quello in cui hai provato sulla tua pelle quanto il dolore riesca a penetrare la corazza, tagliando il cuore e lasciando i segni del proprio passaggio.

Quello in cui ti sei consegnata alle illusioni dell'oscurità, rifiutando la luce.

Ti sei ridotta ad un cervo che scappa dalla sua preda; una donna macchiata di nero che brancola nel buio, pregando che il perdono dimori ancora in coloro che ha brutalmente abbandonato."

Svoltò in un angusto vicoletto tra due imponenti palazzi. Strinse ancora più a sé il mantello scuro mentre il mascara le colava per l'ennesima volta sulle guance e il cuore le martellava nel petto. Sentì il bisogno di fermarsi e prendersi una pausa, giusto il tempo di permettere al suo battito di regolarizzarsi nuovamente.
Sentiva che Grindelwald l'avrebbe cercata. Ne era sicura in realtà, ma preferiva non ammetterlo. Il solo pensiero la faceva rabbrividire.
Scacciò ogni cosa dalla sua testa. Si sedette con la schiena al muro, mentre l'afa brasiliana la avvolgeva e le sue palpebre umide si facevano sempre più pesanti.

Sotto la pioggia (a Fantastic Beasts Fanfiction)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora