2. Cadere

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Mentre me ne stavo appollaiata sul mio albero preferito, ripensando al mio passato, vidi qualcuno correre tra gli alberi da frutto, tra i ciliegi in fiore, fino al mio, sotto il quale si fermò.
Si bloccò davanti al tronco, vi poggiò una mano e si piegò in avanti. La schiena si muoveva scandendo i battiti accelerati del suo respiro affannato. Era un ragazzo ma non ero riuscita a vederlo in viso, correva prima, ed ora, che era vicino, aveva un cappellino con la visiera a coprirgli mezza faccia. Di scatto si sollevò e di colpo cacciò un urlo che mi fece rabbrividire, quindi  strinse i pugni così tanto che avrebbe potuto farsi sanguinare i palmi. Restai impietrita, pensando fosse un folle e, ancora una volta, lui si mosse di scatto e tirò via il cappello come se volesse strapparselo. Lunghi capelli lisci e scuri si mossero ondeggiando in tutte le direzioni ed io restai nuovamente impietrita, ma dal fascino di quell'immagine.
Poi senza alcun motivo mise entrambi le mani sul tronco dell'albero e prese a spingerlo come volesse scuoterlo ed ebbi letteralmente paura di cadere, per la prima volta da lì sopra e urlai come una forsennata:

-SMETTILA IMBECILLE!-

Lui non si mosse più per qualche secondo e pensai che fosse pronto a cacciare un'accetta da dietro la schiena ed abbattere il mio amato ciliegio e dopo sicuramente anche me.

-Non si usa più la parola imbecille dal 1930 credo...- sghignazzò poi, subito dopo, alzò lo sguardo, tra le foglie e i fiori.

Due fari, due occhi di un profondo e intenso azzurro, fu l'unica cosa che vidi.
E riconobbi.

Ma non ero pronta, non ero pronta a quello e senza rendermene conto lasciai la presa sui rami e persi l'equilibrio, scivolando giù dal ciliegio.

-L'imbecille ha appena evitato che ti rompessi l'osso del collo...- fece lui serio con lo sguardo basso.

I capelli gli scivolavano davanti al viso e gli coprivano gli occhi, ma comunque non incrociò mai i miei. Io avrei voluto attirare la sua attenzione ma non riuscivo a formulare un pensiero, tanto meno una frase di senso compiuto. Sentivo solo il calore delle sue mani, sotto le mie ginocchia e dietro la mia schiena, mentre mi sorreggeva.

-Stai bene?! Non hai detto nulla!- aggiunse poi, prima di abbassarsi e posarmi a terra.

Quando i miei piedi toccarono suolo fu come se mi avessero riattaccato la corrente. Lo osservai, mentre raccoglieva il suo cappellino da terra e lo inforcava, e cercai di catturare un suo sguardo.
Ma non ci riuscii.

Era come se sfuggisse al mio sguardo, con la testa china, come se si stesse nascondendo, si sentisse in imbarazzo, a disagio, in quella situazione; quando ero io, quella che era caduta da un albero, finendogli in braccio e soprattutto ero stata scoperta in un posto in cui non avrebbe potuto mettere piede.

Come se mi avesse letto nel pensiero, lui alzò di botto la testa e chiese con fare intimidatorio:

-Chi sei tu?! E cosa ci fai nella mia proprietà?!-

Deglutii. Non avevo mai avuto paura di nulla in vita mia ma quei suoi occhi puntati su di me, fissi, in quel modo, mi mettevano soggezione e mi attraevano a caderci dentro.
Non ricordava.
Mentre io non avevo dimenticato nulla. Tanto meno la sfumatura di azzurro dei suoi occhi.

-Sono Chiara e...- mi bloccai pochi secondi per dargli il tempo di collegare il mio nome, ma non fece nulla, anzi sbuffando fece:

-E?!-

-Questo albero è uno dei miei posti preferiti...-

-Sarà anche il tuo posto preferito ma come ci sei arrivata? La proprietà è recintata ed è mia!-

A quel punto mentii. Non avrei potuto spiegare di avere le chiavi del giardino che dava sul frutteto di sua proprietà.

-Ho scavalcato il muro al di là della vigna. Quello più basso-.

Lui restò fermo qualche secondo poi aggiunse:

-Sto per vendere il casale. Ti converrà non farlo più se non vorrai finire dietro le sbarre-.

Annuii poco convinta. Per tutta quella breve conversazione mi aveva rivolto solo un paio di sguardi fugaci, evitando di incrociare i miei occhi.

-Hai capito?!- mi ammonì d'un tratto.

-Sì...sì...- blaterai.

-E allora forse è meglio che te ne vai...- fece lui accompagnando la frase con un gesto della mano che amplificava il significato. E in quell'istante mi resi conto delle parole che aveva detto: 'Sto per vendere il Casale'.

-Chri...Christian...- pronunciai flebilmente come se la voce mi provenisse direttamente dal cuore.

Lui intento a smuovere la terra con il piede  si bloccò e di scatto si voltò e mi fissò.

I suoi occhi erano glaciali ma io mi sentii bruciare la pelle sotto quello sguardo.

-Perché...perché vuoi vendere il Casale?- continuai perché era l'unica cosa che mi premeva sapere.

-Devo venderlo...la mia vita non è qui...io...non saprei cosa farmene. E...non lo voglio...-

Ma, prima che potessi controbattere, aggiunse contrariato:

-Come sai il mio nome?!-

Restai fissa in quei suoi occhi glaciali che ricordavo ben diversi ma non riuscii a rispondere.

-Allora?-

-Tutti sanno a chi appartiene la tenuta...- blaterai.

Restò perplesso da quella risposta e mentre stava per dire altro, il mio telefono prese a squillare, riempiendo, l'aria immobile tra noi, delle parole e della musica di 'she loves you' dei Beatles.

Lo vidi sgranare gli occhi mentre recuperai il telefono dalla tasca.

-Pronto?-

-Cugina! Devo parlarti! Raggiungimi appena puoi! È importante!- fece Viola dall'altro capo del telefono.

-Arrivo...- risposi solo e chiusi la conversazione. Quindi alzai lo sguardo e vidi il suo, perso verso l'orizzonte.

- Non dovresti venderlo...- biascicai.

- Troppo tardi. Domani verranno a vederla i primi acquirenti-. Rispose con tono fermo, senza voltare lo sguardo.

Sospirai e gli voltai le spalle. Corsi via, giù per la collina fino al cancello che aveva aperto evidentemente al suo passaggio, lo varcai e andai a recuperare la mia bicicletta azzurra. Quindi pedalai veloce mentre il sole calava alle mie spalle, la mia testa si riempiva di domande e piccole lacrime mi solcavano le guance.

Allontanandomi da lui, da quella freddezza sconosciuta, da quella notizia che demoliva pezzo dopo pezzo il mio passato.

Oltre il Casale ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora