12. Noi

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Continuavo a fissarlo dopo quella confessione e cercavo di trovare le parole per non rovinare tutto. Non risposi. E poco dopo sentii allentare la pressione sulle mie mani. Quel tocco leggero mi scosse e ritornai in me di colpo, avevo bisogno di quel contatto, di quel legame con lui.

Lui alzò lo sguardo al soffitto e mormorò:

- So quanto ti piace questo soffitto, ricordo come ti soffermavi a guardarlo ogni singolo giorno in cui riuscivamo ad entrare qui dentro... -

- Credevo non te ne fossi mai accorto, eri sempre talmente preso dal vincermi a nascondino, né tantomeno pensavo te lo ricordassi.-

- Ricordo tutto di te, tutto. - affermò, ripiombando i suoi occhi brillanti nei miei ed il cuore mi balzò in gola, bloccandomi il respiro. Non riuscii a deglutire e nemmeno ad abbassare lo sguardo nonostante mi sentissi avvampare dall'imbarazzo suscitato da quelle parole, tanto inaspettate quanto attese. Non ero l'unica che ricordava, non ero la sola che non aveva dimenticato. Ricordava tutto di me come io di lui ed io pendevo letteralmente dalle sue labbra.

Poi sorrise davvero, dopo tanto tempo. La cicatrice si contrasse e si trasformò in una fossetta profonda che gli abbelliva ancor di più il viso perfetto e che gli ridava quell'aria impertinente di quando era un ragazzo; ed abbassando gli occhi, riprese a parlare:

- Sei sempre stata assurda, sceglievi i posti meno facili dove nasconderti; io mi nascondevo sotto i letti e i tavoli così da poter fuggire velocemente e tu ti chiudevi negli armadi, nei bauli e facevi sempre un gran rumore quando uscivi che riuscivo a sentirti ovunque fossi. Sei rimasta la stessa, la stessa Chiara assurda e particolare di un tempo, non avrei mai potuto dimenticarti e se per qualche strano motivo ci fossi riuscito, dopo un tuo ' Perdindirindina' ti avrei riconosciuto tra mille.-

- È colpa del nonno, lo sai, non voleva che dicessi le parolacce e un giorno mi disse che potevo imprecare come facevano le protagoniste dei libri che leggevo...- risposi subito, perché parlare del nonno mi metteva sempre a mio agio, qualunque cosa accadesse.

- Ricordo anche lui. Era un uomo perbene, benvoluto da tutti, adorato da mio padre. Mi dispiace non essere venuto al suo funerale, ma l' ho saputo giorni dopo, solo quando mi ha chiamato il notaio. -

- Non fa nulla...credo sia più grave che tu abbia perso quello di tuo padre...-

- No, non l'ho perso. C'ero. Nascosto come un ladro...- confessò, rialzando lo sguardo e tornando serio.

Lo guardai allibita e ripensai a quel giorno; al perché non me ne fossi accorta, al perché non l'avessi cercato tra tutti i volti della gente del borgo che gremivano la chiesa in quel freddo giorno di febbraio. E fu allora che rivissi quei momenti: il dolore del nonno quando lo venne a sapere, il suo sguardo muto e fiero a sostenere il feretro, la mano tremante nella mia, durante la funzione. Era lui il motivo per cui non avrei potuto accorgermi della presenza di Christian nemmeno se fosse stato vestito d'oro.

- Ero ancora arrabbiato con mio padre, forse lo ero più di prima, perché se ne era andato senza avvisarmi, senza che avessi il tempo di perdonarlo e la possibilità di rivederlo, di riparlare con lui; ma se non fossi venuto lo avrei rimpianto per sempre. Non l'ho detto nemmeno a mia madre, sono rimasto in disparte per tutta la durata del funerale e poi sono andato via. Al cimitero non sono riuscito ad andarci- concluse sospirando.

Mi slanciai su di lui e lo avvolsi con le braccia. Senza pensarci, senza chiedere il permesso al suo cuore e neppure al mio. Volevo soltanto dargli calore, cercare di acquietare tutti quei rimorsi e rimpianti che erano scivolati tra le parole.

Lui non si mosse. Lo strinsi avvertendo tutta la rigidità delle spalle e il profumo fruttato dei suoi capelli. Sentivo la sua barba pizzicarmi la guancia, il calore della sua pelle che trapassava il tessuto della camicia bianca.

Mi abbandonai a quel tepore di casa.

Quel tepore che avevo sempre sentito con il nonno e che mi mancava da quando non era più con me, ma che adesso avevo ritrovato nel mio vecchio compagno di giochi.

-Mi sei mancato...- mi sfuggì dai pensieri ed oltrepassò le mie labbra dischiuse. E subito mi pentii di quella frase che avrebbe interrotto l'incantesimo; perché lui indietreggiò quel tanto che bastò ad impossessarsi dei miei occhi.

- Sei stata tu la prima a scappare...ragazzina...- sussurrò, e quel nomignolo mi scaricò addosso una sorta di elettricità.

Non mi stava allontanando, non voleva fuggire. Voleva avere spiegazioni, voleva sapere. Ed io dovevo cercare di spiegargli, in quanti e quali modi, quel nostro primo bacio mi aveva sconquassato il cuore tanto da decidere di non tornare da lui, perché percepivo quella richiesta ancor più forte dai suoi occhi. Quel blu oltremare domandava ed io avrei dovuto solamente rispondere; ma davanti a lui, il mio cervello non dialogava con il mio cuore e riuscii solo a blaterare:

- Volevi prenderti gioco di me...con quel bacio... ho solo cercato di difendermi...da te...-

Di colpo si liberò da quello che restava della mia morsa e si alzò in piedi. Andò verso una delle grandi finestre della camera degli affreschi e la spalancò, quindi si mise le mani in tasca, tirò fuori un pacchetto di sigarette e ne accese una con la fiamma di un piccolo accendino rosso.

Restai imbambolata a guardare quella scena repentina che io rivissi al rallentatore. Christian, muto e perso con lo sguardo verso l'orizzonte, inspirò lento, la sigaretta si consumò veloce per un terzo e quando la allontanò dalle labbra, tirò fuori una nube di denso fumo chiaro.

Come al solito avevo rovinato tutto e non avevo idea di come rimediare.

Mi alzai dal pavimento e lo raggiunsi. Lui, nonostante la mia presenza, non si voltò neppure, inspirò ancora la sigaretta e sputò il fumo verso l'alto.

- Hai anche iniziato a fumare...?-

- Sì. E non cominciare a stressarmi con le storie che il fumo fa male, perché ne sono consapevole.-

Sospirai. Aveva ragione, volevo riprendere a parlare con lui, come poco prima, con quella stupida scusa sulla storia del fumo che nuoce alla salute. Non sopportavo più quell'assordante silenzio che gelava il suo sguardo. Presi un grosso respiro e feci l'unica cosa, che sapevo avrebbe certamente attirato la sua attenzione: allungai la mano verso di lui e puntai alla sua guancia destra, vi poggiai il palmo e con  le dita sfiorai la cicatrice.

- So di aver sbagliato ma da oggi in poi non voglio più dimenticare i miei errori...io voglio cambiar loro forma, voglio che si trasformino in desideri per i quali lottare. E un giorno da questa finestra potrò vederli realizzati- pronunciai d'un fiato.

Christian non si voltò a quel tocco ma lo fece a quelle parole e di nuovo i suoi occhi tornarono ad illuminarmi.

Oltre il Casale ©Where stories live. Discover now