7. Indifferenza

84 21 34
                                    

Lavorai con meticolosa pazienza e calma, per giorni. Ne erano passati tre dalla mattina in cui ero andata a casa Blandi. E non era successo niente, meno di niente. Pensai quel pomeriggio, che sarei voluta tornare lì, almeno per sapere se il taccuino avesse raggiunto la persona cui era destinato. Ma pochi minuti dopo Don Antonio mi tirò il bordo del camice. Era l'unico modo che aveva per chiamarmi, dato che avevo sempre gli auricolari accesi nelle orecchie. Li spensi e mi girai, pronta a chiedergli di cosa avesse bisogno. Don Antonio fece il suo solito sorriso dolce e mi disse:

-Chiara, guarda, c'è qualcuno che ti cerca-

E pronunciando quelle parole indicò con il braccio alla sua destra. Fu allora che voltai lo sguardo e lo vidi.

Christian era in piedi, poco distante, e aveva lo sguardo perso sulla pala alle mie spalle. Non aveva il cappello a coprirgli il viso ma i capelli e la folta barba facevano lo stesso lavoro allo stesso modo.

-Grazie- pronunciai verso il parroco che subito si allontanò diretto alla sagrestia; quindi mi tolsi la mascherina e il camice e scesi in fretta dal trabattello.

L'ansia che avrebbe dovuto bloccarmi scomparve al solo pensiero che lui potesse cambiare idea ed andarsene, quindi fui sorpresa dalla volontà di affrontarlo, di sapere.
In pochi istanti fui davanti a lui e solo allora lui abbassò lo sguardo e mi guardò dritto negli occhi.

Ne fui trafitta. Ancora. Nuovamente.

Mi rendevo conto di essere completamente vulnerabile al suo cospetto, totalmente esposta. Nuda di ogni armatura avessi potuto costruire nel tempo, scoperta da ogni muro avessi potuto alzare con i mattoni della sua indifferenza.

-Sono venuto a riportartelo- disse poi, interrompendo il silenzio e porgendomi il taccuino, chiuso allo stesso modo in cui lo avevo portato io.

-Lo hai letto?- chiesi mentre riprendevo tra le mani quel tesoro.

-Sì.- pronunciò secco.

-E??-

-E...cosa...?!...A dirti il vero avrei voluto non averlo mai letto...- concluse impassibile.

Sbarrai gli occhi mentre una fitta acuta mi colpì il cuore. Sentii ribollire il sangue e la rabbia mi salì in gola tanto che stavo per mettermi a sbraitare proprio sotto l'altare.
Ma subito, mi resi conto che non sarebbe servito.
Lui era l'indifferenza fatta persona ed io avrei ingoiato l'amaro e avrei dimenticato lui e la sofferenza che mi provocava e che mi spaccava il cuore a metà.

Non dissi nulla, quindi, gli diedi un'ultimo sguardo rigido e tornai sul mio trabattello. Inforcai di nuovo gli occhiali di protezione mentre le lacrime mi pizzicavano gli occhi. Non accesi la musica, attesi sperando di sentirmi chiamare ma pochi secondi dopo, mi voltai e lui non c'era più.

Sembrava svanito nel nulla. Se non fossi stata chiamata da Don Antonio avrei pensato di essermi immaginata tutto.

Mi sentivo rammaricata, delusa, inerme di fronte a lui. Ogni volta che lo avevo visto, da quando era tornato, era sempre più freddo e i suoi occhi più glaciali. Riaccesi la musica e ripresi a lavorare cercando di concentrarmi.

Quando lasciai la Chiesa Madre, non andai a casa ma mi precipitai al negozio, da Viola. Le raccontai, sbraitando, tutto quello che era successo e soprattutto quello che non era successo. Mi sfogai finalmente, cercando di allontanare da me tutto il rancore che avevo accumulato. Christian era capace di far venire fuori il peggio di me ma non gli avrei mai dato la soddisfazione di vedermi vulnerabile. Viola ascoltò senza dire una parola, poi mormorò soltanto:

-Credo tu non abbia ancora saputo una cosa...-

-Cosa?!?- quasi urlai.

-Domani firmeranno l'atto di compravendita. Christian ha venduto tutto. La tenuta, il casale, il frutteto non apparterranno più ai Blandi ma diventeranno proprietà di una società che pare voglia farci un resort di lusso, con tanto di alberghi e campi da golf...-

-Quindi abbatteranno il frutteto e i vigneti?- domandai con gli occhi irrimediabilmente gonfi.

Lei annuì in silenzio ed io mi accasciai sul pavimento. A quel punto Viola venne fuori da dietro il bancone e si accucciò al mio fianco.

-Chiara...gioia...non puoi farci nulla...tuo nonno sa che se avessi potuto, avresti salvato il casale, tu da sola...-

Avevo la testa china e le lacrime iniziarono a bagnarmi i jeans.

-Chiara...- riprese Viola con dolcezza.

-Devo andare al casale...- balbettai.

-Chiara...non puoi...lo sai...- cercò di dissuadermi.

-Invece sì! Per oggi è ancora il nostro casale, quello del borgo, mio e di nonno Vanni!-

Lei sospirò pesantemente ed io continuai:

-Devo andarci, prima che distruggano tutto! Devo raccogliere una foglia di ogni singolo albero e di ogni singola vite per custodirle fra le pagine dei suoi libri preferiti!- conclusi con gli occhi umidi e sbarrati, fissi nei suoi occhi verdi e comprensivi.

-Vuoi che venga con te, allora?-

-No, grazie, vorrei andarci da sola.-

Accennò un sì e mi baciò sulla guancia.

-Quando torni a casa chiamami però!-

-Sì, promesso.-

E subito mi avviai.

La luce della luna piena rischiarava il frutteto come fosse giorno. Avevo ormai, già raccolto una trentina di foglie ed ora toccava al mio albero preferito, che se avessi potuto, avrei sradicato. Ma di colpo sentii un rumore, un calpestio di foglie, come un rumore di passi.

-Chi va là?- gridai senza pensare alle conseguenze.

-Ma cosa...- sentii dire, mentre vidi Christian sbucare da dietro il ciliegio.

-Perbacco!- esclamai.

Lui sembrò accennare un sorriso e poi proferì:

- Avrei dovuto immaginare fossi tu!-

Io non lo feci parlare e dissi in fretta:

-Sono venuta a prendere le foglie degli alberi a cui sono legata, perché grazie a te, li abbatteranno tutti! Tutti!! Hai capito!?-

Lui sbuffò, poi rispose:

-Dai, vieni con me...-

-Do...dove...?- chiesi allibita.

-Qui, in un posto. Ci vieni o no?!-

E prese a camminare verso il casale.

Non risposi ancora frastornata da quella sua domanda ma i miei piedi si mossero dietro di lui, senza che io potessi controllarli.

Non solo i miei piedi lo seguivano, tutta me stessa, persino il mio inconscio, lo avrebbero seguito senza il mio volere. Per quanto fossi scappata da lui, per quanto avessi voluto allontanarmi da lui, sarei stata sempre intrappolata a quei suoi occhi da un filo impercettibile e invisibile.

Lo seguivo ancora, come un tempo, tra gli alberi e mi rendevo conto di quanto ricordassi ancora i nostri passi, su quella terra: quei passi che avevamo imparato insieme da bambini e che probabilmente non avremmo mai dimenticato.

Oltre il Casale ©Where stories live. Discover now