11. Cocci

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Prima di andare al casale, di buon mattino, passai in Chiesa. Avvisai don Antonio che avrei allungato i miei orari lavorativi: sarei arrivata in anticipo e sarei tornata ogni sera per ultimare prima possibile il restauro della Pala; e che spesso avrei passato mattine e pomeriggi lontano da lì, perché avevo intenzione di occuparmi del Casale. Ne avevo avuto la possibilità e lo dovevo in primis a nonno Vanni e a Cesare Blandi e poi a tutti coloro che amavano quel luogo e in cui avrebbero tornato a lavorare.

Don Antonio ne fu estremamente felice, mi diede la sua benedizione ed acconsentì che io facessi come mi fosse più comodo. Infine si congedò dicendo:

-Sapevo che eri l'unica in grado di salvare il Casale, e finalmente lo ha capito anche il figlio di Cesare.-

Le stesse parole che, la sera prima, mi aveva detto Viola al telefono, dopo averle raccontato quello che era successo sulla soglia della mia porta.

Mi stupì ancora il pensiero che tutti credessero inspiegabilmente in me. Avevo sempre pensato che l'unico fosse il nonno, lui aveva fiducia nelle mie potenzialità più di me stessa e continuava a ripetermelo sempre; ma avere il supporto di tutti amplificava la mia forza.

Non appena arrivai al casale, notai la moto di Christian parcheggiata nell'ampio slargo davanti al portone che vidi aperto totalmente, e capii che era già entrato. Lo chiamai e iniziai a salire le scale che conducevano al primo piano. Ma nessuno rispose.

-Che strano- mormorai a me stessa e presi a camminare lungo il corridoio, in penombra, del primo piano, su cui tutte le porte erano chiuse tranne una, dalla quale una lama di luce sbatteva sul pavimento in cotto scuro.

Mi fermai davanti a quella porta semiaperta e riconobbi la camera degli affreschi. Respirai rumorosamente e quando spinsi la porta verso l'interno lo vidi.

Seduto per terra, di spalle alla scrivania, c'era Christian. Si teneva le ginocchia, si muoveva a scatti in avanti e indietro e respirava affannosamente. Lo raggiunsi e mi inginocchiai davanti a lui. Ma non fece una piega, il suo sguardo sembrava trapassarmi, aveva gli occhi persi, spenti, fissi in un vuoto, lontano chissà dove, che continuava a confonderlo.

-Chri...- sussurrai.

A quella sillaba, il suo fiato si fece sempre più corto, l'agitazione si impossessò di lui e sembrò ancor più mancargli l'aria.

Gli afferrai le mani tra le mie, cercai di catturare i suoi occhi con i miei ed iniziai a ripetere piano:

-Respira con me...piano...respira, uno, due, tre...inspira, piano, bravo...ripetiamo...respira...uno, due, tre...inspira...così...ancora...- lo ripetetti moltissime volte, così tante che persi il conto.

I lunghi respiri che facevamo all'unisono aleggiavano per un po' sulle nostre teste prima di schiantarsi al suolo e frantumarsi in minuscoli pezzi.

A quella nenia poi, aggiunsi altre parole:

-Ci sono io, non sei solo. Sono qui, guardami, sono qui...-

Speravo mentre cadenzavo non solo i miei respiri, ma anche i miei battiti, con i suoi, che quei minuscoli cocci di paure si disintegrassero e sparissero completamente, come le stelle quando esplodono nell'universo.

Dopo molto, Christian riprese a respirare normalmente ed io con lui. Fu solo allora che mi resi conto di quanto mi stringesse le mani. Aveva le nocche completamente bianche.

-Chiara...- pronunciò poi, flebile, ma sentirlo fare quel nome mi spaccò forte il cuore, come con una lama affilata.

Sbarrai gli occhi, ancorati ai suoi che sembravano aver ripreso il loro consueto colore acceso.

-Hai avuto un'attacco di panico...va tutto bene...è passato...- balbettai, cercando di tranquillizzarlo ulteriormente o forse cercando di tranquillizzare me, perché sentir pronunciare il mio nome da lui, ora, mi faceva paura.

-Era molto che non mi succedeva...- bofonchiò.

La colpa era mia, io lo avevo costretto a restare, e quel luogo continuava a dargli il tormento. Stavo per rinunciare a tutto: al casale, al restauro, a lui stesso, pur di saperlo in salute e al sicuro da qui, da me, ma lui mi anticipò:

-Volevo rivedere questa camera, non ci entravo da anni, ma il fatto che tu volessi restaurarla mi ha spinto a tornarci. Ero sicuro di aver coperto con un grosso macigno il mio passato, ero certo di essere diventato più forte di lui, di averlo dimenticato per sempre...ma...hai ragione, il passato non si dimentica...non si può...-

-È colpa mia...mi dispiace...-

-No...non lo è...sono io...sono un vile, lo sono sempre stato e lo sono ancora...-

-No...non è così, la tua è solo sofferenza non vigliaccheria...-

-Sono sempre scappato e avrei continuato a farlo se tu non mi avessi parlato. Non ho avuto il coraggio di affrontare mio padre, dopo l'incidente, non ho voluto più vederlo né tantomeno parlargli. Lui se n'è andato sopraffatto da quella colpa, da quella colpa per cui io l'ho crocifisso. Non l'ho mai perdonato perché non ho mai perdonato me stesso. Leggere il taccuino di tuo nonno mi ha trafitto il cuore, ha riaperto tutte le crepe che avevo tentato di cucire con il tempo. Leggere quanto mio padre sperasse nel mio perdono, quanto volesse parlarmi, scusarsi, guardarmi soltanto, mi ha devastato. Ho provato ad oppormi, lo hai visto anche tu, con il mio distacco e la mia freddezza, ma non ho resistito. Tutte le armature che avevo e con le quali mi proteggevo anche da te, sono cadute e si sono sgretolate poco prima di venire a casa tua-.

Mi sembrava di avere il suo cuore tra le mani e di vederlo sanguinare. Christian era sofferente, lo sguardo fisso nel mio, la voce tremante. Parlava con lentezza e ad ogni parola corrispondeva un sussulto. Restai ipnotizzata da quelle parole: il suo dolore aveva voce ed io lo avrei ascoltato per ore, nonostante sapessi quanto male gli facesse. Come quando osservi comunque la scena di un'incidente e sai che non dovresti.

-Il casale non lo merito, per questo non lo voglio. Ma ha vissuto e vive grazie agli abitanti del borgo, a tuo nonno, a te. Ed è giusto che torni ad essere vostro. Per questo ho deciso di affidartelo, sei, dopo mio padre e tuo nonno, la persona che lo ama più al mondo, me lo hai dimostrato in questi giorni nonostante il muro di rancore che cercavo di opporti, e per questo sei tu quella che lo merita-.

Christian era tornato. Il mio Christian era davanti a me.

Oltre il Casale ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora