1. Sul tetto del mondo

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Adoravo quel posto. Era il mio posto sul tetto del mondo. Mio nonno me lo diceva sempre:

-Ora che hai trovato il tuo posto sul tetto del mondo...cosa vedi?-

Ed io ridevo, in cima a quell'albero di ciliegio, che ormai era come fosse di mia proprietà, e rispondevo:

-Tutto, nonno, tutto il mondo, le strade, gli alberi, i vigneti ed il casale. E poi il cielo sembra più vicino ed il sole più rosso!-

Lui sghignazzava e continuava a fare le incisioni per gli innesti.

Non aveva paura che mi facessi male in cima ad un albero. Mi aveva insegnato lui stesso a salirci, che forse avevo avuto dieci anni e da quel giorno non avevo mai smesso di arrampicarmi e sedermi sul ramo più robusto. A maggio ad inebriarmi dei fiori e a giugno a rimpinzarmi di ciliegie.

Le staccavo una alla volta, lasciando appeso il piccolo gambo e dopo averle strofinate sulla mia maglietta, così che fossero pulite; un metodo di pulizia, ovviamente e totalmente inutile ed inefficace; le mangiavo goduriosa e ne sputavo i noccioli piccoli e bianchi fino a farne una distesa come chicchi di grandine ai piedi del tronco.

Ne ero talmente abituata che il mal di pancia non mi sfiorava nemmeno e tanto meno la paura di cadere dall'albero su cui mi sentivo a casa.

Spesso restavo lì l'intero pomeriggio fino al tramonto. Il sole come una grossa palla di fuoco, calava dietro le colline ed io rimanevo imbambolata ad osservarlo piano piano sparire. Dopo di che scendevo giù dal mio posto nell'olimpo, mio nonno raccoglieva i suoi attrezzi e ci dirigevamo verso il casale.

Nonno Vanni era mio nonno materno. Aveva perso sua moglie per una stupida infezione e si era occupato di mia madre che a quei tempi era in piena adolescenza. I nonni erano molto avanti negli anni quando nacque mia madre, per cui la accolsero come un dono del cielo e furono molto permissivi  e accondiscendenti con lei. Perchè, fondamentalmente, mia madre era una ribelle che, come diceva nonno Vanni, aveva preso tutto da sua mamma tanto che a soli vent'anni era rimasta incinta di me. Allora mia madre e mio padre, mano nella mano, era andati dal nonno e glielo avevano comunicato. Anche mio padre era figlio di un bracciante e mio nonno si fidò di quel giovanotto, moro e dalla carnagione scura, che per mantenersi faceva il muratore.

La mia nascita fu la gioia più grande di mio nonno dopo l'amore di mia nonna. Io crebbi una bambina spensierata, ma il matrimonio dei miei durò molto poco. Non avevo nemmeno sei anni, che mio padre lasciò mia madre e si tasferì a Verona. Mia madre dovette riprendere a lavorare ed io iniziai a passare tutto il tempo che non ero a scuola, con nonno Vanni e a seguirlo al casale. Passarono meno di una decina d'anni  e anche mia madre decise di trasferirsi al nord Italia, probabilmente per motivi di lavoro. Mi chiese ovviamente di partire con lei, ma ero ormai un'adolescente, ero legatissima a mio nonno e al casale, e decisi di restare con lui. All'incirca l'anno successivo nacque mio fratello Leo ma io riuscii a conoscerlo solo un paio di anni più tardi.

La mia vita ruotava intorno a nonno Vanni e la sua intorno a me. Ci amavamo incondizionatamente, mai una discussione, mai una parola fuori posto, era il mio mondo ed io lo amavo esattamente così. Era alto e robusto, la mia fortezza, il mio punto fermo. Un uomo di altri tempi che mi riempiva di coccole e libri e mi insegnava a guardare oltre, a leggere l'anima delle persone e a cercarne sempre il bene. Gli occhi scuri e profondi, i capelli come fili d'argento, il sorriso sempre a solcargli il volto, lo rendevano la persona più benvoluta delle tenuta e del borgo intero.

Anche Cesare Blandi stravedeva per lui. Il discendente della famiglia più aristocratica e agiata del borgo, proprietario della tenuta più grande nel giro di chilometri: una distesa di frutteti, vigne e un enorme casale di pareti giallo ocra; che dava lavoro a quasi mezzo borgo, aveva una predilizione per mio nonno. Il Blandi, per quello che avevo constatato con i miei occhi, era molto diverso dai ricchi proprietari terrieri che si vedevano nei film e si leggevano nei libri. Aveva ragione mio nonno, bisognava sempre guardare oltre, perchè il suo datore di lavoro era certamente un signore nel vero senso della parola, una persona cortese e leale. Lo stesso non avrei potuto dire di sua moglie. La signora Blandi veniva poco al casale, forse anche meno di una volta l'anno e non era per nulla affabile. Salutava a malapena e se ne stava in disparte finché non ripartiva con la sua preziosa auto sportiva. Avevano un solo figlio, i Blandi, un bambino che tutti dicevano particolarmente introverso e viziato. Un bambino che imparai a conoscere con il tempo e che, ai miei occhi, era tutt'altro che introverso e viziato, era solare, dolce ed altruista, esattamente come suo padre.

A rendere la mia vita più vivace c'erano, inoltre, Iris e Viola. Mamma e figlia con due nomi di fiori, proprietarie di un negozio di fiori. Iris era la cugina di mia mamma, ovvero la figlia del fratello di mio nonno scomparso giovanissimo in guerra. Io e Viola eravamo quindi procugine, ma avevamo frequentato le stesse scuole ed eravamo legatissime. Restavamo lontane solo d'estate quando lei lavorava al negozio di fiori ed io me ne andavo al casale con nonno.

Io e nonno adoravamo ascoltare i Beatles con la sua vecchia musicassetta e leggere i libri amati dalla nonna, i classici inglesi soprattutto. Quando chiudevo il libro, e mi stendevo sotto le coperte immaginavo di essere una di quelle fanciulle che passeggiava per la tenuta in abiti eleganti e che veniva sorpresa dall'uomo che amava segretamente e che era segretamente innamorato di lei. Immaginavo di perdermi in quegli occhi di cielo e di sorridere finché non venivo afferrata e baciata con passione.

Ero una sognatrice, lo ero da sempre e lo sarei stata per sempre.
Nonostante l'adolescenza, poi, mi catapultò in un mondo totalmente diverso da quello in cui avevo vissuto e crescendo le cose nella realtà si fecero sempre più complicate e confuse.

Oltre il Casale ©Where stories live. Discover now