13. Confessioni

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- Quel bacio, l'ho desiderato e voluto e per questo te l'ho dato. Non capisco perché tu abbia pensato che mi prendessi gioco di te e poi, perché tu non me lo abbia detto...- disse Christian spiazzandomi nuovamente.

Era una confessione. Come le altre di quel giorno. Christian era tornato ad essere il mio migliore amico ma quello che mi stava confessando in quell'istante, mi stava confondendo, mi stava riempiendo la testa di castelli che non sarei stata in grado di sostenere. Allora feci l'unica cosa sensata, cercai di difendermi e ribattei:

- Ti prendevi sempre gioco di me, mi trattavi come una ragazzina!-

- Ma lo eri!!-

- Come lo eri tu! Sempre pronto a prendermi in giro! -

- Non con un bacio...- quasi sussurrò.

Perché...perché continuava ad insistere su quel maledetto bacio...non poteva!

- In quel periodo sapevo della ragazza di Siena...me lo aveva detto Viola...- controbattei di nuovo.

- Ah...ecco...non sono mai andato a genio a tua cugina...-

- Non dire baggianate! Viola mi ha sempre aperto gli occhi, detto la verità! - mi scaldai io.

Lui aveva, nel frattempo, finito di fumare e spento la sigaretta sull'annerito davanzale in marmo. Lo avevo visto piegare le labbra in un sorriso alla parola baggianate e poi spostare lo sguardo nuovamente fuori, verso l'infinito, prima di appoggiarsi allo stipite destro e riprendere a parlare:

- Ho capito che anche io non voglio più dimenticare i miei errori e voglio cambiarli di forma, anche se non so ancora in quali desideri trasformarli. E certamente non sarà da questa finestra che potrò vederli realizzati...-

Continuava a chiedermi di quel bacio e ad essere certo che sarebbe andato via dal borgo. Che senso aveva tutto questo? Perché insistere sul passato che lui stesso per primo voleva dimenticare? Dovevo mettere fine a quell' ennesimo dialogo estenuante ma non ne ebbi il tempo perché lui disse:

- Dimmi solo una cosa...se ti baciassi adesso...scapperesti di nuovo? Ora che non siamo più ragazzini, penseresti ancora che voglia prendermi gioco di te?-

Boom...colpita...affondata.

Sgranai gli occhi e senza rendermene conto indietreggiai di un passo. Quella bomba esplosa dalla sua bocca aveva colpito il centro del mio cuore deflagrandolo, esattamente come allora; ed io avevo accusato il colpo, il rimbombo. Lo fissavo attonita e confusa, mentre lui con lo sguardo sornione sembrava sfidarmi. I suoi occhi fermi, lucenti e scintillanti stretti di nuovo ai miei irrequieti, cupi e scuri.

Cosa stava facendo...Cosa tentava di dimostrare...certamente continuava a sfidarmi...non aveva nulla da perdere lui...da lì ad un paio di mesi sarebbe tornato nel suo mondo perfetto e sarebbe sparito come se non fosse mai riapparso. Ma io? Cosa ero diventata adesso che non ero più una ragazzina? Dovevo smetterla di essere ancora intimorita dal suo sguardo, dalle sue parole...dovevo andare avanti, oltrepassare il nostro passato, i miei errori di un tempo e i suoi rancori per cui continuava a tenersi imprigionato al borgo, intrappolato a me. Il nonno mi diceva ogni giorno: 'Pensa a quello che vuoi e poi raggiungilo con il cuore. Il cuore ti condurrà su strade sconosciute che la mente non conosce e ti farà amare il viaggio'.

Ed il mio cuore in quel momento mi gettò contro Christian, letteralmente.

Lo spinsi con le mani contro lo stipite e poiché ero ancora più bassa di lui, mi sollevai un poco sulle punte e riuscii a raggiungerlo perché la mia spinta lo avevo lasciato, non solo basito ma, anche leggermente piegato. Così ad un soffio dalla sua bocca mormorai:

- E se ti baciassi io? Faresti finta di nulla? Lo prenderesti come un gioco? Scapperesti a gambe levate?-

Affogata nel mare calmo dei suoi occhi, vividi di una luce scintillante, ritrovai la me stessa di un tempo, quello in cui ero una piccola ragazzina indomita che stuzzicava il suo migliore amico; e fui io che lo baciai.

Poggiai la mia bocca sulla sua e chiusi gli occhi lasciandomi trasportare dal tumulto che avevo nel cuore. Sentii, come la prima volta sotto il ciliegio, Christian tirarmi per i fianchi ed addossare il mio corpo al suo, prima di ricevere la scarica che la sua lingua provocò a contatto con la mia.

Non fuggii da nessuno di quei contatti, ma li vissi appieno, nelle ossa, sulla pelle, tra le palpebre socchiuse, sulle labbra avide e voraci. C'era sempre stato lui, nessun altro reggeva il confronto. Gli altri o meglio l'altro che avevo baciato, quel certo Angelini della scuola di restauro non mi aveva lasciato nulla: emozione, batticuore, paura, sorpresa, possesso; né dopo, né tantomeno nel mentre.

Le nostre bocche si conoscevano a memoria, ancorate l'una all'altra; i nostri respiri si riconoscevano e si scambiavano come se non si fossero mai persi dietro a discussioni inutili. I nostri corpi, ormai adulti, imparavano ad incastrarsi, facendo il calco l'uno sull'altro, combacianti come non erano mai stati prima, sotto la guida delle nostre mani che si muovevano lente, seguendo il passare del tempo che sembrava facesse fatica a scorrere, bloccato anche lui da tanto tremore.

Imparavo, in quegli istanti indelebili, ad accogliere le sue mani su di me: i polpastrelli che spingevano sui miei fianchi; i palmi che percorrevano piano la mia schiena, separati soltanto dal cotone leggero della mia camicetta azzurra; le dita che si infilavano sulla nuca, sotto i capelli.

E l'unica cosa che riuscivo a pensare era che non avrei voluto smettere mai. Che sarei voluta restare così, desiderata e vogliosa. Che avrei voluto continuare a baciare ogni singolo centimetro della sua pelle, accarezzarlo, spogliarlo, amarlo, amarlo... amarlo.

Invece le mie mani erano rimaste quasi bloccate sul suo petto. Riuscivo a muoverle piano e poco, in su e in giù, avvertendo quanto la sua prestanza fisica fosse diventata quella di un uomo e rabbrividendo per quanto mi eccitasse; ma senza trovare il coraggio di prendere anche solo uno dei bottoni della camicia e tirarlo fuori dall'asola.

Nonostante quel vortice di passione, quel bacio da togliere il fiato, io restavo insicura, incapace di prendere ciò che desideravo di più, indecisa sul far mio colui che più avevo desiderato avere nella vita.

Fu allora che pregai che lo facesse lui, che abbandonasse quella delicatezza con cui continuava ad accarezzarmi e che mi prendesse senza darmi il tempo di congetture.

Pregai, pregai così tanto che quella preghiera sfuggì, gemendo, dalla mia bocca.

Oltre il Casale ©Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz