per cosa, o fatiche vane

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La stanza è bianca e accecante come un muro d'ospedale eppure mi sento soffocare nel buio. La luce mi fa male agli occhi ma ho troppa paura per spegnerla. Sto pensando ancora a loro. Sto pensando a tutte le cose che hanno sbagliato e a tutte le cose che mi hanno fatto sentire viva. Come ho potuto essere così stupida. Ogni giorno che passa mi riconosco sempre di meno e mi rinchiudo in un buco sempre più profondo. Scavo, scavo, scavo, in una terra marcia e rancida, sperando di trovare l'acqua, o il paese delle meraviglie. La terra marcia è la mia testa, o i miei ricordi. Prima o poi si seccherà sopra di me e sarà difficile uscire, o impossibile. A volte mi capita di vedere una striscia di sole farsi strada tra le crepe del mio covo nero, e mi emoziono, o inizio a sperare. La notte arriva sempre, presto o tardi, e presto o tardi la luna mi riporta con i piedi per terra, e il mio nascondiglio si chiude di nuovo su se stesso e si fa scuro. La luce diventa un ricordo malinconico di un momento passato in cui ho posto troppa fede, o un'illusione, che rifiutavo di definire tale finché non è scomparsa davanti ai miei occhi, lasciandomi sola e un po' più stupida e vuota di prima. Chiusa dentro tua testa inizi a sentire la claustrofobia, o la voglia di volare. A volte scavo buchi sotterranei, a volte mi arrampico verso il cielo, su un monte ripido e pieno di nuvole, e non vedo dove vado. Quando arriva la notte, dopo aver passato tutto il giorno a scalare una montagna, guardo giù, ed è lì che senti le vertigini, o la voglia di cadere. La notte serve per riassaporare i ricordi, o per vivere davvero. Serve per morire, o per rinascere. A volte serve invece per lasciarti solo, al buio, in un covo o su una montagna, a chiederti per cosa, in fondo, hai fatto tutta quella fatica.

LoraWhere stories live. Discover now