15. Il primo giorno (I) | Past;

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"La verità è che ho sempre mentito

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"La verità è che ho sempre mentito."

Passato

C'è All Might, di fronte a me. Capisco subito che si tratta di un sogno, perché è sospeso in un vuoto nero e senza fine. Mi sta dicendo qualcosa, col suo solito largo sorriso, ma sono sorda e non riesco a sentirlo. Mi sforzo per leggergli il labiale e cercare almeno di carpire qualche singola parola, ma il fatto che tenga la bocca aperta in quel sorriso plastico mi impedisce di percepire i movimenti che dovrebbe fare nel parlare. Cerco di avvicinarmi, ma mi accorgo di avere i piedi completamente sotterrati nella melma nera che ci circonda. La cosa neanche mi preoccupa: è un sogno, posso anche morire soffocata, per quel che mi riguarda, così almeno mi sveglierò e uscirò da qui. Perché diavolo sto sognando All Might, poi? Devo smetterla di pensare a lui o di idealizzarlo nella mia stupida mente, perché questo è il risultato: finisce col tormentarmi anche durante il sonno.

Un'ape si fa largo da un piccolo foro nel vuoto assoluto che ci circonda. Un fievole raggio di luce passa attraverso di esso, come se al di fuori di questo mondo oscuro splendesse un sole estivo di mezzogiorno. L'ape produce un ronzio insistente quando le sue ali trasparenti sbattono frenetiche e la portano vicina al mio viso. Cerco di scacciarla, ma quella continua a muoversi così vicina da farmi sentire il suo ronzare in maniera costante e sempre più forte. Il raggio di sole si fa largo nella fessura e l'oscurità si crepa come uno specchio che va in frantumi.

Il secondo dopo, apro gli occhi e torno alla realtà.

C'è davvero un raggio di sole che mi sta accecando: proviene dalla finestra della mia nuova stanza, che non ha tende a oscurarla; ieri ho persino lasciato aperte le imposte, presa com'ero a osservare quello strano individuo che si allenava al chiaro di luna. Mugugno un lamento e mi copro gli occhi con un avambraccio, tornando in un piacevole oblio.

Niente da fare, preferirò sempre le tenebre alla luce.

Mi giro di lato e mi copro col lenzuolo, decisa a tornarmene a dormire. Non ho neanche intenzione di sapere che ore siano: per colpa di quel ragazzo e della sua rumorosa sciarpa, sono andata a dormire a un orario indecente e ora ho bisogno di riposo. Sono pur sempre in convalescenza, no? Merito di dormire e al diavolo tutto il resto.

L'ape del mio sogno deve aver sfondata la parete onirica ed essere scivolata nella realtà, perché il ronzio che mi infastidiva in quel vuoto assoluto torna a riempirmi i timpani.

«Ahn... ma che stiamo scherzando?» biascico e riapro un solo occhio, alla ricerca di quell'insetto molesto.

Non sono una che uccide gli animali, ma se quest'ape non sta zitta mi costringerà a usare le maniere forti.

Mi guardo intorno, ancora disorientata dal sonno e dal fatto di non riconoscere quasi nulla della stanza in cui mi trovo: alla luce del sole, ogni dettaglio sembra più vivido, dalle pareti bianche al pavimento in parquet, dall'armadio a muro alla grossa vetrata.

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