3- Non credi nell'amore?

85 6 0
                                    

Sospirai scocciata.
- Prof sul serio, quando dico che non sono interessata alla letteratura è perché è così, le parole sono inutili e non trasmettono quello che veramente io vorrei trasmettere.-
Il professore sospirò e si toglie gli occhiali.
- Facciamo una prova qual è stato l'ultimo libro che hai letto?-
- Macbeth l'anno scorso per il professore di letteratura.-
Risposi prontamente ricordandomi l'odio che avevo provato nel leggere quell'inutile libro.
- E ti è piaciuto?-
Insistette lui tirando fuori il libro in questione della sua valigetta.
Ma i professori di letteratura vanno tutti in giro con quel libro in tasca? Cos'è, la loro bibbia?
- No per niente, io odio Shakespeare.-
- Ok proviamo in un modo diverso, un libro che non ti non ti ha dato così tanto disgusto?-
Sbuffai.
- Non lo so, davvero, non apro un libro da anni e quelli che leggiamo a scuola sono noiosi.-
Alzò un sopracciglio scettico, poi si avvicinò arrotolandosi le maniche della camicia.
- Come esprimi le tue emozioni?-
Senza rispondere tirai fuori il cellulare e aprii Spotify scegliendo un brano malinconico di Brahms.
Downey non mi disse nulla, ascoltò in silenzio per circa cinque minuti, chiuse gli occhi e feci lo stesso anche io.
Ci lasciammo cullare dalla sinfonia, dagli archi e dalle forti emozioni che trasmettevano quelle note.
Note, non parole.
Aprii gli occhi e osservai il professore, era appoggiato al banco davanti a me, la testa buttata indietro e le gambe incrociate, dovevo ammettere che effettivamente Lizzie aveva ragione, Downey era un bell'uomo.
La cosa che mi attirava di più erano le sue labbra sottili ma allo stesso tempo dure.
"Sei fidanzata Nora, sii seria."
Scossi la testa riprendendomi e chiusi l'applicazione non appena la musica si fermò.
Il prof prese una sedia e si sedette davanti a me, serio come non mai.
- È così che ti senti?-
Mi guardò con tristezza e in quel momento capii: lui sapeva.
Sapeva di mia madre.
Mi sentivo come tradita, avrei voluto dirglielo io magari un giorno, ma la mia razionalità e il mio bisogno di sfogarmi ebbero la meglio.
Dopotutto l'avevo pensato quella mattina: lui non mi conosceva ancora, potevo essere me stessa.
Così mi lasciai andare e gli confidai tutto.
Pensieri, dubbi, perplessità, sogni, incubi...
E lui mi ascoltò, mi prese per mano e mi stette ad ascoltare per un'ora intera, senza avere nemmeno un secondo di carenza d'attenzione.
Alla fine scoppiai a piangere e lui tirò fuori un fazzoletto.
Aspettò che mi riprendessi poi mi parlò, una sola frase ma che mi rimase dentro.
- Piangere non indica che sei debole. Sin da quando sei nato è sempre stato un segno che sei vivo.-
Dopo un paio di respiri profondi lo guardai rapita da quelle parole, sembravano fatte apposta per me.
- È... È sua?-
Mi fece un sorriso lievemente sarcastico e appoggiò il mento sulla mano puntando il gomito sul mio banco.
- No, Charlotte Brontë.-
Il mio sguardo confuso lo face ammutolire, i suoi occhi si spalancarono e la sua bocca si dischiuse leggermente.
- Jane Eyre?-
Ancora silenzio da parte mia.
Iniziavo a sentirmi quasi una bambina che ha appena imparato a parlare e che viene messa nella stessa stanza con un plurilaureato.
Fece un verso di disapprovazione scuotendo la testa sconsolato.
- Nora dobbiamo fare qualcosa, capisco il tuo disinteresse, ma certe cose bisogna saperle... I libri che vi assegnano a scuola li leggi?-
Annuii imbarazzata.
Ok, forse dovevo fare qualcosa.
- Sì, cioè Shakespeare è stato l'ultimo autore affrontato e abbiamo letto "Sogno di una notte di mezza estate".-
Aprì le braccia compiaciuto sorridendo e poi batté le mani, un gesto che scoprii più avanti essere quasi un tic per lui.
- Perfetto! Iniziamo da qui: pensieri? Opinioni?-
Cercai di ricordarmi la trama e fare ordine mentale nella mia testa.
- Non... Onestamente non mi è piaciuto molto: la trama sembra molto forzata, tutti sono destinati all'amore e non sono convinta che questa sia la realtà.-
Senza spezzare il contatto visivo si sistemó sulla sedia genuinamente incuriosito.
- Non credi nell'amore?-
- Non credo sia destinato a tutti.-
Lo corressi.
- Tu sei destinata all'amore?-
Sorrisi pensando a Duncan poi riflettei seriamente.
Avevo sempre sostenuto di amarlo, ma era amore vero? Quello che ispira poesie, composizioni, libri, tutto?
- Io... Non saprei.-
Ammisi alla fine.
- Ho un ragazzo e ci vogliamo tanto bene, ci diciamo che ci amiamo ma sono solo parole, è su questo che baso il mio pensiero: per esprimersi non c'è bisogno di parole ma di altro, le parole possono essere false.-
Il professore sospirò abbassando la nuca, poi come illuminato mi guardò con entusiasmo.
- Ho un'idea: il tema lo scriveremo insieme tra un mese o due, nel frattempo ti assegno due libri da leggere che parlano di amore.-
Una smorfia si formò sul mio viso.
- La prego non Shakespeare, non mi piace.-
Ridacchiò.
- Non preoccuparti, non piace nemmeno a me. No, io sto parlando della madre di tutti i romanzi: Jane Austen.-
Corrugai la fronte.
Mi sembrava familiare ma non riuscivo a collegare nessun titolo conosciuto, non che ne conoscessi tanti.
- Orgoglio e pregiudizio? Emma?-
Scossi la testa ancora una volta.
Downey si alzò e mi fece cenno di seguirlo.
In silenzio percorremmo i corridoi della scuola fino ad arrivare alla biblioteca, dove non mettevo piede dal primo anno.
- Ok, vediamo se li trovo.-
Mi passò di fianco e il suo profumo mi inebriò, non sapevo ben definire la fragranza ma era qualcosa di ipnotizzante.
Lo guardai cercare tra gli scaffali con un paio di occhiali da lettura posti sul naso, passò a rassegna qualche libro fino a fare un piccolo sorriso di esultanza tirando fuori due libri.
Me li porse con un sorriso caldo.
- Questi potrebbero essere più interessanti magari, l'amore non è per tutti ma può raggiungere chiunque.-
Titubante presi quei libri entrando in contatto con la sua pelle calda e asciutta.
Forse fu la mia immaginazione ma sentii qualcosa, qualcosa che sentì pure lui perché i nostri sguardi si incatenarono andando a esplorare quello che è lo specchio dell'anima umana.
Al suo viso però si sovrappose quello di Duncan e una sorta di senso di colpa nacque in me, misi un certa distanza tra di noi facendo qualche passo indietro.
- La ringrazio professore... Per, per tutto.-
Si tolse gli occhiali e li rigirò tra le mani.
- Sei una ragazza interessante Nora, non vedo l'ora di vedere dove ci porterà questo anno insieme.-
Guardò l'orologio da polso e sussultò, poi mi guardò dispiaciuto.
- Scusa Page, ti ho trattenuta per un quarto d'ora in più, vai pure.-
Senza pensarci due volte mi voltai verso l'uscita con i libri sotto braccio.
Quell'uomo mi trasmetteva una strana sensazione e ancora non sapevo se mi piaceva o no.
Affrettai il passo per riuscire a prendere il pullman, lasciandomi alle spalle l'uomo.

--------------------------------------------------------------

Arrivata a casa mio padre ancora non c'era, quindi mi ero seduta sul divano e avevo osservato i libri che mi aveva dato il professore.
Dopo un paio di minuti di lotta interiore allungai la mano e iniziai a leggere "Orgoglio e pregiudizio".
Purtroppo il mio essere fuori forma mi portò a leggere con una lentezza impressionante, tanto che due ore dopo ero solo alla fine della pagina tredici.
Finito l'ennesimo paragrafo mi presi una pausa e iniziai a cucinare.
Cercai un grembiule da mettermi ma appena ne trovai uno nel cassetto sopra quello delle pentole fui come colpita da una doccia fredda.
"Best mum ever", recitava la scritta, la "b" era al contrario perché avevo appena imparato a scrivere quando l'avevo fatto.
Emanava un profumo di cannella e limone, senza dubbio i due ingredienti più usati da mia madre.
Tuffai il viso nella stoffa e presi a piangere, come se fossi china sulle sue ginocchia, era come se potessi restare in contatto con lei tramite i suoi oggetti e non avevo intenzione di staccarmi nonostante il dolore e il groppo in gola che sentivo.
Quando l'orologio segnò le sei e mezza però mi vidi costretta a riprendermi: mio padre sarebbe arrivato in una ventina di minuti e non potevo farmi trovare così.
Dovevo essere forte.
Mi sciacquai il volto per rinfrescarmi e ripresi a fare ciò che stavo facendo prima.
"Piangere non indica che sei debole. Sin da quando sei nato è sempre stato un segno che sei vivo."
Quelle parole mi rimbombarono nella mente ed un sorriso sereno prevalse sul mio volto mentre accendevo i fornelli.





Redamancy -R.D.J.-Where stories live. Discover now